Signs

Shyamalan ama i suoi film. Fin troppo. Tanto da clonarli, tutti uguali, nella speranza del medesimo successo. Dopo il buon Il sesto Senso e il discutibile Unbreakable, l’unico regista indiano di risonanza planetaria ci riprova servendo al pubblico la stessa portata, con gli stessi ingredienti, ma attori diversi. Una famiglia segnata da un dolore lancinante scopre nei campi circostanti la propria fattoria segni misteriosi, probabilmente provenienti da creature extraterrestri. Nessuno sembra crederci, ma, pian piano, la verità funesta apparirà sotto gli occhi di tutti. Utilizzando uno schema simile ai film precedenti (indizi disseminati qua e là, capovolgimento finale), Shyamalan ha buon gioco per tutta la prima parte, dove, citando a mani piene Hitchcock, riesce con cinque attori e una casa a creare buona suspence e tensione, ma cade male in un finale dichiaratamente d’effetto e fintamente logico. E il versante escatologico si riduce a qualcosa tra il ridico e l’aberrante (la fede come riconoscimento di un insieme di coincidenze logiche). Peccato perché l’indiano ha un certo talento nel condurre la macchina da presa. Meno, decisamente meno, nel scrivere storia e dialoghi.