Space cowboys
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Presentato in apertura a Venezia per celebrare la carriera del grande Eastwood, Space Cowboys non è certo il miglior film dell’attore-regista americano, anche se non manca di quegli ingredienti che hanno reso inconfondibile lo stile dell’ex-pupillo di Leone. Compattezza e ironia segnano infatti il film che, se nella prima parte gioca tutto sulla verve di interpreti in grandissima forma che ironizzano sulle proprie condizioni fisiche (primo fra tutti Shuterland che sembra rifare il verso a certi film degli anni ’70), nella seconda rientra pienamente nel registro e nell’immaginario fantascientifico proponendo una storia a metà tra Apollo 13 (Howard, 1991) e Mission to Mars (De Palma, 1999). Vero è anche che Eastwood non sembra molto a suo agio tra tute spaziali, asteroidi, satelliti e via discorrendo e, francamente, si avverte una certa stanchezza verso la fine del film, soprattutto dopo essere passati attraverso l’ennesima vittima sacrificale e l’ennesimo russo cattivo affetto da manie di grandezza. Comunque, una pellicola ben sopra la media dei film del genere e, grazie a Dio, senza un filo di retorica nazionalista. Eastwood omaggia l’Italia, sua patria artistica, con una visione dallo spazio.