Sweet sixteen
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Ennesimo crudo e duro film di Ken Loach, veterano del cinema inglese impegnato civilmente e politicamente. Loach, dopo i due mezzi passi falsi di Bread & Roses e Paul, Mick e gli altri (eccessivamente ideologico il primo, molto fragile il secondo), torna alle origini con un film fatto senza fronzoli e senza moralismi. Liam è un ragazzo come tanti della degradata periferia inglese: genitori latitanti (il padre naturale è scomparso, la madre è una tossica ex detenuta, il patrigno violento spacciatore). Come tanti altri suoi coetanei, Liam sogna una vita diversa: una casa, qualche risparmio per far fronte alle necessità di ogni giorno. Ma per ogni cosa, serenità compresa, c’è un prezzo da pagare. E Liam non si tirerà indietro. E’ da decenni ormai che Ken Loach è diventato il paladino degli umili e degli oppressi, contro l’ingiustizia di una realtà che non fa sconti a nessuno. Piovono pietre, Ladybrid Ladybird, My Name is Joe erano dure parabole su vite spezzate da una realtà fatta solo di violenza e da promesse non mantenute. Liam è solo l’ultimo arrivato in questa lunga e dolorosa rassegna di volti e corpi messi a dura prova dalla vita. Duro e violento, Sweet Sixteen coniuga cinema documentario e tragedia greca (Liam, come Edipo, vorrebbe uccidere il patrigno) avendo bene in mente come colpire il pubblico, nei confronti del quale non si nascondono le scene più crude. Colpire per denunciare: in questo senso il film è decisamente riuscito.