The Departed
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Film cupo, pessimistico, dagli accenti letterari, tra Shakespeare e Dostoevskij, l’ultimo film di Martin Scorsese, dopo un paio di mezzi passi falsi (Gangs of New York e The Aviator), ci riporta ai bei tempi andati. Quelli se non di Taxi Driver e Toro scatenato, almeno di Quei bravi ragazzi e Casinò, a cui The Departed si salda non tanto per l’appartenenza ad un medesimo genere gangster, quanto per l’atmosfera tragica e i risvolti senza speranza. Ispirato a Infernal Affairs, un noir orientale si qualche anno fa, The Departed è uno dei migliori film di Scorsese di sempre. Attori perfetti (compreso Di Caprio, al terzo film con il Maestro e sempre più bravo in un ruolo non certo facile), sceneggiatura, musiche e montaggio che paiono senza sbavature. Due ore e passa che scorrono via tra bagni di sangue, scoppi improvvisi di violenza e la presenza di un peccato che è presenza ineludibile e schiaccia la persona, una vera costante nella cinematografia del regista italoamericano. Sangue, famiglia e tradimento: si potrebbe sintetizzare così un’opera che riesce a essere attualissima, con un sovradosaggio di paranoia e attacchi a tradimento, pescando nell’antico. E cioè nella tragedia classica e scespiriana, da cui Scorsese ricava almeno tre quarti delle suggestioni di uno script che appare veramente solido e non privo di ironia. Tragedia dell’identità, tragedia dei padri (due, Sheen e Nicholson, in due parti speculari), tragedia del tradimento e del parricidio, la tragedia dell’amicizia virile e della donna contesa. Insomma, un film sul “doppio” realista e non relativista. Che, certo, non fa sconti a nessuno ma che ha il coraggio di fare i conti con personaggi fatti carne e di ossa, di male (che spesso è definitivo) ma anche di pulsioni verso un bene che spesso ha il sapore della vendetta.