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Una verità scomoda

Regia:
Davis Guggenheim
Voto: 4,0

“Il mio nome è Al Gore e sono stato il prossimo presidente degli Stati Uniti”, comincia così, tra le risate generali, con una battuta del Presidente sconfitto più celebre del pianeta, Una verità scomoda, il film diretto da Davis Guggenheim con protagonista proprio il Vice Presidente di Bill Clinton, sconfitto per un pugno di voti da Gorge W. Bush nel 2000. Il film, presentato in anteprima assoluta al Festival di Cannes lo scorso maggio, è una miscellanea di apparizioni televisive e conferenze che Gore ha tenuto in giro per il mondo nel tentativo di aprire gli occhi del pubblico su una delle tragedie dimenticate del nostro tempo: il surriscaldamento del pianeta. Gore snocciola dati e attribuisce colpe: al governo Usa, ovviamente, perché gli Stati Uniti sono il paese che produce più idrocarburi nel pianeta e ha gli standard di sicurezza più bassi. Persino la Cina fa meglio. E’ questa la verità scomoda che ‘The ozone man’, come Bush chiamava l’avversario, denuncia senza paura: che l’amministrazione Bush si preoccupa più di investire in armamenti che in ambiente, energia alternativa e progresso. Finanziato con i soldi Jeff Skoll, cofondatore di eBay e recentemente produttore di film progressisti come Syriana e Good Night, and Good Luck, i film in cui non mancavano atti d’accusa contro il governo americano, più che un documentario pare un manifesto politico per rilanciare la carriera di un politico considerato troppo presto finito. Anche perché come documentario scientifico ha già ricevuto le sue belle critiche. Le più feroci e puntigliose sono quelle messe insieme da Mario Lewis ‘JR, cofondatore di un think tank di destra, il Competitive Enterprise Insitute che smonta scena dopo scena, parola dopo parola le tesi di Una verità scomoda, dividendo gli errori in categorie: esagerazioni, bufale, mancanze e distorsioni, e arrivando a chiamare la missione ecologista di Gore missione moralistica per screditare il governo in carica legittimamente eletto e per rilanciarsi da un punto di vista politico. E conclude la lunga disanima ricordando che Gore denuncia i problemi legati agli idrocarburi, ma non ipotizza soluzioni alternative. E così, mentre Gore ci racconta delle malefatte di Mr. Bush, si dimentica che “ancora oggi quasi due miliardi di persone vivono sulla Terra senza luce elettrica né gas”. Il dubbio quindi è che il documentario abbia poco di scientifico e molto di politico. In effetti pochi giorni dopo il lancio del film Gore ha creato un nuovo gruppo ambientalista, l’Alliance for Climate Protection, una vera e propria lobby di potenti (tra cui figurano un ex consigliere ala sicurezza di Bush, due ministri dell’ambiente delle amministrazioni Clinton). Scopo dichiarato, come dice il vicepresidente della Fondazione, Theodore Roosvelt IV, pronipote del Presidente omonimo, “raccogliere montagne di denaro” per lanciare una campagna internazionale per proteggere il clima, combattere l’effetto serra e, perché no, per lanciare la candidatura del prossimo Presidente degli Stati Uniti, il primo Presidente ambientalista degli Stati Uniti d’America. E’ già pronto uno slogan: Vote for The Ozone Man.

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