United 93
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Salgono sull’aereo mescolandosi tra i passeggeri. Tra agenti di cambio, direttori di banca e donne in pensione. Ben vestiti, parlano un inglese perfetto. Sono in quattro e si dispongono sparsi per l’aereo. Diventano nervosi quando il comandante annuncia un lieve ritardo nella partenza. I passeggeri, intanto, vivono la propria vita. C’è chi litiga al telefono, chi parla col vicino, orgoglioso, dei propri cinque figli. C’è chi dorme e chi maledice il ritardo dell’aereo. C’è chi scherza e pensa a casa, come i piloti. Le assistenti di volo preparano il pranzo e l’aereo finalmente parte. Un uomo si alza per andare in bagno, la borsa in mano. Ne uscirà con una bomba alla cintura. E’ il segnale convenuto: i tre complici, estratti i coltelli, sgozzano un paio di passeggeri, prendendo il controllo dell’aereo. E’ il terrore. E’ l’11 settembre.
E’ veramente un film impressionante United 93 per tanti aspetti. Innanzitutto perché il film è vero, non è una ricostruzione a spanne. E’ tutto vero. Veri gli attori, molti dei quali veri piloti, vere assistenti di volo, veri controllori. Vero l’aereo, un Boeing 757 vecchio 20 anni e destinato alla rottamazione, smontato e ricostruito negli studi fuori Londra. Vera la durata: 91 minuti di film come i 91 minuti di volo dello United 93. E vera, terribilmente vera, la dinamica del dirottamento dell’aereo. L’assassinio dei piloti e di parte dell’equipaggio. L’attesa sfiancante dei passeggeri in ostaggio, rassicurati dai dirottatori che tutto andrà bene, che vogliono solo i soldi. Le prime telefonate, la notizia delle Twin Towers e la certezza che quell’aereo non atterrerà mai. E la decisione eroica di ribellarsi e di riprendere il controllo dell’aereo maledetto.
Girato in uno stile sobrio e privo di qualsiasi forma di commento, United 93 è il capolavoro di Paul Greengrass già autore dell’intenso Bloody Sunday, il film sulla domenica di sangue tra irlandesi e inglese. Un progetto che nasce in collaborazione con i famigliari delle vittime. Sette settimane di interviste a più di un centinaio tra parenti e amici delle vittime, per raccontare tutto. Comprese le ultime strazianti parole al telefono prima dello schianto. “Mi sono lasciata coinvolgere nel progetto perché era la cosa più giusta da fare – racconta Sandy Felt che ha perso il marito sul volo 93. Non posso negare che ciò sia successo. Devo affrontarlo. E questo film è un aiuto”. Kenny Nacke che su quel volo ha perso suo fratello: “Queste persone devono essere ricordate. E io farò la mia parte perché questo avvenga e queste persone abbiano l’onore che è loro dovuto”. “Erano persone normali – racconta il regista - persone come noi, che hanno avuto trenta minuti per confrontarsi con la realtà che ora stiamo vivendo per decide se e come agire, in un momento in cui tutti noi stavamo guardando la televisione incapaci di capire cosa stesse succedendo”.
Persone normali di fronte alla sproporzione di un male gratuito che agisce solo per distruggere. Non c’è giustificazione per i terroristi maledetti, tanto che viene voglia di ucciderli con le nostre stesse mani. Drogati di un’ideologia che vuole solo il sangue, nel momento dell’assassinio non sono più uomini, ma diventano bestie che uccidono vite innocenti per la volontà di distruggere. E’ il diavolo che si materializza, improvvisamente, in un abisso di male e di morte. Ma contro il diavolo fanno quadrato degli uomini normali, che si ritrovano addosso il coraggio degli eroi, diventando per tutti un segno di speranza. Non l’umanità, o l’ideale astratto. Ma uomini: giocatori di rugby, piloti in pensione, vedove di guerra e studenti universitari. Reagiscono e lottano, per sé e per i propri volti cari. E le ultime parole vanno proprio a loro: alle mogli, ai figli, ai nipoti. Vi voglio bene. Pregate per noi.