UP
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Se non ritornerete come bambini, non lo capirete mai. Potrebbe essere questo il sottotitolo perfetto per l’ultima meravigliosa creatura dei quei geni della Pixar. Perché dire film è forse troppo poco e capolavoro è ormai un termine abusato dopo aver assistito a quei capolavori recentissimi che sono stati Ratatouille e Wall-E. E proprio come Wall-E finiva, Up riparte: uno sguardo innanzitutto, sul cielo e anche oltre. Il piccolo robot che spazzava e sperava in un mondo di solitudine. Il piccolo vecchietto che vendeva palloncini, indurito dai dolori della vita e soprattutto dal dolore di lei che non c’è più. In una casa vuota, scura, circondata da scavi mostruosi di una città in fieri, vive il vecchio Carl, prigioniero di quella casa dei ricordi dove tutto è immagine di lei, aggrappato a un album di foto sbiadite e con lo sguardo rivolto a un cielo che tanto aveva promesso negli anni scorsi e che invece tanto poco sembra ora offrire. Ma l’imprevisto, come sempre nei film Pixar, è pronto a tendere la sua nuova divertita imboscata. E’ con una nota malinconica e forse anche più, che prende le mosse il film di Pete Docter, già regista dello splendido Monsters &Co, e qui capace di superarsi. In una manciata di minuti che già sono entrati nella storia del cinema, il regista e il suo montatore raccontano i tanti anni della vita di Carl: lo stupore di questo bimbetto taciturno al cinema a vedere le avventure del suo eroe, l’amicizia con Ellie, la bambina sdentata che poi diventerà sua moglie. Le promesse del matrimonio e anche tutte le lacrime, fino alla vecchiaia e alla morte di lei. Il tutto raccontato alla maniera del cinema muto con solo commento musicale, senza dialoghi, con una straordinaria capacità sintetica e un’intelligenza rara nel raccontare la vita senza censurare nulla. Sogni, speranze, dolori, morte perché forse il punto di forza della Pixar è proprio quello di raccontare la realtà tutta con un occhio al pubblico bambino e un altro al pubblico adulto. Perché la vita è bella e tutto in essa ha significato, veramente tutto. Morte, rappresenta con grande realismo e delicatezza, compresa. 5 minuti di grande cinema come forse si vedeva solo nel cinema muto, senza un’ombra di sentimentalismo ma d’altra parte pieno di fiducia se non di speranza. Insieme si può affrontare tutto: sono sempre stati insieme Carl ed Ellie e si sono voluti un bene nell’anima, anche quando le cose andavano storte e il loro agognato viaggio in Sud America andava a farsi benedire: perché si spaccava la macchina, ci si rompeva la gamba o ci si ritrovava il tetto sconquassato. Sempre insieme, con lo sguardo nel cielo a riconoscere nelle nuvole le forme più strane. Gli animali più esotici, un elefantino, un bimbetto, tanti bimbetti. Un cielo pieno di bimbi. Sempre insieme, anche di fronte a tutti questi bimbetti che dal cielo non se ne volevano scendere in quel lettino blu allestito con tanto amore.
Ecco, Up, che da noi uscirà il 15 ottobre, è forse il film che più di ogni altro celebra la trasformazione del sogno americano in attesa, attesa di qualcuno. Un’attesa – a volte piena di stupore, a volte un po’più imbronciata - che la realtà ripaga sempre, pur attraverso modi misteriosi. Come la figura del piccolo Russell, un bimbetto esploratore affamato di vita, che il vecchio Carl si ritroverà tra i piedi e con cui inizierà un viaggio incredibile, sospeso letteralmente tra cielo e terra, poetico già nella forma, ricco di una simbologia semplice e senza fronzoli (la casa-museo di Ellie sospesa nell’aria e irresistibilmente attratta dal Cielo), fino a uno dei finali più commoventi della storia del cinema, un lungo abbraccio in cui tutto il dolore è riscattato.
Strepitoso da un punto di vista tecnico, Up, almeno fino al prossimo film Pixar, è l’ultima frontiera delle possibilità cinematografiche: è un film modernissimo eppure antico e controcorrente. E’ un film con delle avventure che nemmeno Indiana Jones ma il protagonista è un vecchio che fa fatica a muoversi; è un film che fa piangere e ridere al tempo stesso senza mai essere ricattatorio (e fa davvero piangere tutti: compreso il critico scafatissimo per le migliaia di film all’anno eppure singhiozzante per larghi tratti); è un film per bambini in cui gli animali sono veri animali che fanno anche un po’ paura e in cui non manca il sangue e la morte; soprattutto è un film in cui parole come ottimismo, sogno, solidarietà sono trasfigurate nell’unica parola di cui il cinema, con i suoi addetti ai lavori e tutto il suo pubblico, tramortito da centinaia di film zozzi, ha davvero bisogno. La parola speranza.