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Excalibur, spada nella roccia

Autore:
Natale, Anna Maria
Fonte:
CulturaCattolica.it ©
Un piccolo cuneo si è insinuato nella roccaforte della tv



Intervista notturna a una clochard milanese, le cui ricchezze sono i guanti sdruciti ("guai a perderli, senza questi muoio") e una coroncina di rosario fosforescente ("così di notte fa un po' di luce") intorno al collo.
"Ti fa sentire protetta?" (voce fuori campo dell'intervistatrice).
"No!!... mi fa sentire felice!": è la sorprendente risposta di questa donna, mentre l'inquadratura di primo piano svela lo spalancarsi di un sorriso luminosissimo della bocca (senza denti) e degli occhi (un solo occhio per la verità).
Il miracolo della bellezza in una situazione di sordido degrado.
E' un piccolo flash di "Excalibur" (venerdì 31/01/03). Un piccolo segnale.
La tv può essere anche questo.
Una tv così non è facile da trovare e non è certamente qualcosa a cui siamo abituati.
Si badi bene. Il punto cruciale, come sempre quando si ha a che fare con la tv, non è semplicemente una questione di 'contenuti'. La novità di "Excalibur" non è solo il fatto che si parli di fede, di Medjugorie, di Fatima e di Madre Teresa e di miracoli. Non è proibito trattare dal piccolo schermo argomenti come questi, è anzi accaduto più spesso di quanto non ci si rammenti. In fondo, la tv tritatutto ci ha "educati" in tanti anni a vedere di tutto di più, avanti il prossimo e c'è posto per tutto, perfino per i buoni sentimenti e per i buoni propositi.
Ma queso è il punto. La tv a cui siamo più abituati, quella che ha formato generazioni di telespettatori, è paradossalmente proprio quella che si fa guardare con maggior distrazione e maggiore disimpegno, la tv rumore di sottofondo che può permettersi di parlare assolutamente di tutto e del contrario di tutto….purché non ci si soffermi su nulla.
Excalibur è invece una tv che ti 'costringe' alla fatica di fermarti, di ascoltare, di riflettere su quanto viene detto e fatto vedere. Che ti induce non solo a provare delle emozioni ma a confrontarti con un giudizio.
Questo non è poco. Ma c'è dell'altro.
"Il più grande problema che tormenta Socci è il rapporto tra fede e audience": così il critico Aldo Grasso sul "Corriere" del 2/2/03. Bella questione, decisamente intrigante.
Io non so se sia questo il tormentone di Antonio Socci.
Quel che so per certo è che non è capitato spesso, in tanti anni, di veder trattata la fede in tv come la tratta Excalibur.
Non voglio generalizzare. Chiaramente, qui si esclude il riferimento ad alcuni eventi particolari che meritano altrove ben altra considerazione, in particolare la grandissima esperienza comunicativa legata alla figura di Giovanni Paolo II.
Ma nel quotidiano, e al di là dai grandi eventi, che cos'è che è concretamente avvenuto ogni volta che in tv si parla di fede?
Sembra che di fede si possa autorevolmente parlare solo se si è capaci di prenderne le distanze e se si è il più possibile ignoranti in materia, meglio ancora se si ha un po' in odio il fatto cristiano. La rappresentazione mediatica della fede consiste normalmente in un mix indifferenziato tra stregoneria, miracolismo, misticismo e spiritualismo. I cristiani, in particolare, diventano televisivamente 'interessanti' quando c'è di mezzo qualche polemica o qualche prurito. In ogni caso, quel che vince e che "buca" lo schermo è da sempre l'illuminato distacco del perfetto conduttore, che può parlar di tutto proprio perché è personalmente in-differente a tutto. Insomma, si può parlare di cristianesimo solo se si è estranei, o più o meno esplicitamente avversi, alle questioni in oggetto. Con tutte le variazioni sul tema: dalla sorniona ironia di Maurizio Costanzo alle gradazioni dei diversi stili comunicativi, fino alla faziosità così politically incorrect di un Santoro. Il messaggio complessivo è dunque il seguente: se si vuol essere intelligenti e illuminati è necessario essere "sanamente" equidistanti e non coinvolti con argomenti di questo tipo (come se lo stare al di sopra delle parti non fosse anch'essa una precisa scelta culturale…).
E' anche così che si distrugge un popolo e la sua fede.
A Excalibur accade invece che con argomenti come questi, una volta tanto, si cimenta qualcuno che ci crede e che li sceglie e li propone da un punto di vista, e con un criterio di giudizio, che è 'interno' ai fatti stessi di cui si parla, un punto di vista che è dichiaratamente 'di parte', e non di parte avversa.
Qui si parla di qualcosa che si ama profondamente. Qui si parla di una fede popolare (vedi il fenomeno dei pellegrinaggi, impressionante!) che non ha mai avuto diritto ad una sua rappresentazione mediatica.
Si può discutere e si può trovare argomenti di critica finché si vuole. Ma resta la domanda.
Chi l'ha detto che in televisione può parlare di cristianesimo solo chi non ama il fatto cristiano?

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