Il mito dell’immortalità biologica

Che cosa vuole la scienza, portarci a fare a meno di Dio? La questione si gioca tutta nell’oggi: se da questo rapporto con Dio noi traiamo la massima soddisfazione. E’ questione di esperienza nel presente. Per evitare le utopie o più facilmente gli inferni futuri.
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Quale è l’immagine che accompagna, nell’immaginario collettivo, un annuncio come questo:
“Creato in laboratorio un cromosoma artificiale?” Quella di una équipe di scienziati che, utilizzando sostanze chimiche inorganiche, ad un certo punto riescano a fabbricare qualcosa di vivente: creare la vita dalla materia, insomma. Ma non è sicuramente questo il contenuto delle notizie degli ultimi giorni dai laboratori delle meraviglie. Dopo il cosiddetto “annuncio-shock” di Craig Venter pubblicato il 6 ottobre scorso dal quotidiano inglese “The Guardian”, un prudente silenzio è sceso sull’esperimento. Bene hanno fatto Assuntina Morresi su “Avvenire” ed Eugenia Roccella su “Il Giornale” ad esprimere cautela e perplessità, sottolineando i risvolti oscuri, quando non pesantemente propagandistici, di una simile impresa. Venter si sarebbe “limitato” a manipolare e a modificare un batterio già esistente, il “Mycoplasma genitalium”, eliminando una parte del suo DNA ritenuta non necessaria per le funzioni vitali, con l’obiettivo di creare in futuro organismi mirati a ripulire aria ed acqua e a produrre nuovi tipi di energia. Nobili fini dunque, anche se il ritorno economico sarebbe colossale, e se timori angosciosi di possibili sconvolgimenti della creazione o di nuove terrificanti armi letali sono stati tacitati un po’ alla buona. Che cosa ci riserva quindi il futuro? Giorgio Montefoschi sul “Corriere della sera”, in un commento dal titolo “Nessuna paura, ma teniamo il confine tra la vita e la morte”, non può evitare, non avendo altri termini di paragone, di ricordare le proprie letture adolescenziali, quei romanzi di fantascienza in cui ogni limite veniva sorpassato, e quindi incubi apocalittici diventavano realtà. “Non dobbiamo avere paura della scienza e delle scoperte scientifiche”, sostiene lo scrittore, e questo per due motivi: “...il fondo dell’uomo, nonostante i ripetuti e tragici esempi della sua storia, è sostanzialmente buono... e... tutti i progressi della conoscenza vengono usati in larga parte per il Bene (nonostante i tragici esempi che chiunque potrebbe addurre, come Hiroshima, certo: testimonianza del libero arbitrio, della imperfezione umana, e della possibilità fatale che l’uomo ha di cadere nell’errore)”. Tuttavia, conclude Montefoschi, “dobbiamo ricordare che, per quanto si possa andare oltre, per quanto si possa curare il nostro corpo, e migliorare la nostra vita, questo corpo e questa vita non ci appartengono. e non potranno mai valicare il confine della morte. E del tempo. Il confine che non può fare, di un uomo, il suo Dio”.
Questa affermazione di creaturalità, di dipendenza, contrasta singolarmente con le dichiarazioni degli scienziati che lavorano nel campo della “genomica”; alcuni di essi non hanno rifiutato l’affermazione di “giocare a fare Dio”, anzi hanno rincarato la dose sostenendo che “non giocano affatto”. Si affaccia qui una “Hybris”, una violenza superba che vede nelle scoperte scientifiche non un semplice mezzo per migliorare la vita, ma quasi una sfida al Creatore. In questo senso appare ingenua e priva di realismo l’affermazione della bontà naturale dell’uomo fatta da Montefoschi. E’ proprio nella dottrina della Caduta, del Peccato originale, diceva G. K. Chesterton, che riceve chiarezza la domanda sul mistero del male nel mondo. E’ lì che qualcuno - l’estraneo, il nemico - ha promesso all’uomo: “Sarete come dei”, insinuando la malvagità di Dio, e ottenendo la sciagurata rovina dell’umanità. Appare molto più realistica questa “profezia” di Giacomo Contri:
“Sappiamo da molto che una Fantascienza ben controllata fa corrette proiezioni temporali, e ora ne farò una: tutti hanno sentito parlare delle “staminali”, cellule primarie che possono svilupparsi in tutte le direzioni biologiche, tessuto nervoso, cutaneo, epatico, osseo eccetera, e già oggi hanno qualche piccola applicazione terapeutica. Diamoci il tempo opportuno di ricerca pura e applicata, decenni?, un secolo, due?: ed ecco la fontana dell’eterna giovinezza nonché salute corporea.
La Bioetica stessa in tutte le sue versioni non saprebbe che dire, perché per impedirlo dovrebbe introdurre una eutanasia a tempo (proibito vivere dopo una certa età)... Le staminali ci obbligano a pensare in modo nuovo - mi correggo: semplicemente a pensare - la questione del nostro desiderio in relazione al tempo, e anche a quello di Dio se esistesse.
Ci interessa una tale prospettiva? davvero?
Dio stesso non sarebbe più quello che ci riporta in vita e ci ridà miracolosamente la salute, fine di Lourdes: resterebbe, finalmente!, la sola questione che interessi e che abbia mai interessato, quella della soddisfazione...”
Che cosa vuole la scienza, portarci a fare a meno di Dio? La questione si gioca tutta nell’oggi: se da questo rapporto con Dio noi traiamo la massima soddisfazione. E’ questione di esperienza nel presente. Per evitare le utopie o più facilmente gli inferni futuri.