Idea di Europa in Chabod
- Autore:
- Fonte:
Il dibattito in corso in questi mesi attorno alla Costituzione Europea, attorno alla natura e alle funzioni della nuova Europa, mi pare l'occasione più indicata per andare a riprendere un vecchio testo di Federico Chabod intitolato appunto "Storia dell'idea d'Europa". Si tratta di un agile volume di poco più di cento pagine che raccoglie un corso monografico tenuto dal celebre storico all'università Statale di Milano nel 1943-44, e che fu poi ripreso e ampliato nel corso del dopoguerra.
In esso vengono sviluppati i vari passaggi che, dall'antichità fino ai nostri tempi, portarono alla formazione di una coscienza europea, vale a dire della particolare consapevolezza di appartenere ad una realtà politica, geografica e culturale avente una propria e definita specificità.
L'Europa, essendo unita all'Asia sul lato est, non rappresenta, a livello fisico, un'entità precisa, identificabile a priori, e questo ha fatto sì che, nel corso dei secoli, la consapevolezza di essere europei si sia manifestata sempre in contrapposizione con un'altra realtà, che si sia precisata nei suoi elementi costitutivi proprio nel confronto culturale con una "non-Europa".
Un primo concetto di questo tipo lo ritroviamo nella civiltà greca quando cioè, all'epoca delle guerre persiane, gli ateniesi contrapposero la loro idea di civiltà a quella asiatica, che consideravano essere arretrata e dispotica: l'Europa è un'area geografica ancora assai limitata, che si identifica quasi unicamente con la Grecia, o al massimo con i popoli che gravitano attorno alla sua orbita.
Tutto ciò venne a cadere nel III secolo a.c. quando Alessandro Magno, unificando di fatto sotto il suo dominio oriente e occidente, arrivò a porre le basi di una civiltà nuova, che di fatto non conosceva nulla di contrapposto al di fuori di essa, ma ritornerà con i romani, i quali, attraverso le loro conquiste, contrapporranno idealmente la loro idea di civiltà a quella "barbara" dei popoli non ancora assoggettati.
Il cristianesimo modificherà radicalmente questo stato di cose in quanto, grazie all'opera di evangelizzazione dei monaci in territori prima considerati alle propaggini del mondo come Britannia e Irlanda, alla rivoluzione che provocherà all'interno dei rapporti umani e delle convenzioni sociali, farà crollare anche la costruzione culturale precedente: Europa sarà detta solo quella parte di mondo dove fosse giunto il messaggio cristiano, vale a dire, utilizzando Dante come punto di riferimento, i territori nord occidentali, appartenenti alla giurisdizione della Chiesa. La Russia e l'Europa balcanica e danubiana venivano considerate un altro mondo, questo almeno fino a che l'opera di Cirillo e Metodio da una parte, e la conversione di Vladimir di Kiev dall'altra, non contribuirono a fare anche di queste zone una propaggine europea.
Interessante notare come a partire dallo Scisma d'Oriente, e poi successivamente con la caduta di Costantinopoli nel 1453, la Grecia fosse completamente scomparsa dal mosaico europeo: troppa la differenza culturale e soprattutto politica tra Roma e Bisanzio, perché potessero essere considerate ancora parte di un medesimo corpus. L'arrivo dei Turchi Ottomani in quella zona ne decretò la definitiva fine, e bisognerà aspettare di fatto la fine della prima guerra mondiale per ritrovare in quelle zone la presenza di un certo "spirito europeo".
Terminata l'epoca medievale, Machiavelli risultò essere il primo intellettuale a slegare il concetto di Europa da una visione puramente cristiana: nei suoi scritti egli risultava infatti avere coscienza della divisione del mondo in continenti, i quali venivano identificati però in base a criteri politici, non religiosi. Egli riprese così quella contrapposizione Europa/Asia tipica di Romani e Greci, e identificò la differenza tra le due entità nelle diverse forme di organizzazione politica da esse posseduta.
E' comunque l'età delle scoperte geografiche a portare il cambiamento più significativo: da questo momento in avanti l'Europa non verrà più identificata col cristianesimo, e questo essenzialmente per due ragioni. In primo luogo era già cominciato, a partire dalle componenti più laiche dell'umanesimo, quel processo di secolarizzazione della civiltà europea che avrebbe raggiunto l'apice nel secolo XVIII, in secondo luogo, una contrapposizione con un'area non cristiana non era più possibile, in quanto l'evangelizzazione era giunta anche in quelle zone così radicalmente diverse da quelle fino ad ora conosciute. Diventava a questo punto chiaro come le realtà conosciute fossero diventate tre: un "nuovo mondo" arretrato che andava a contrapporsi al "vecchio" cristiano, culturalmente e scientificamente evoluto, e a quello asiatico, anch'esso caratterizzato da una notevole tradizione culturale, ma diversa, anche religiosamente, da quella europea.
Nei secoli successivi, con l'avvento dell'illuminismo e la secolarizzazione che ne conseguì, si verificò anche la nascita di un certo sentimento antieuropeo, una polemica verso certi aspetti della nostra cultura, che portava di contro ad idealizzare la civiltà mesoamericana, perché estranea a quei fenomeni di violenza e corruzione morale che oramai caratterizzavano il vecchio continente.
Le guerre europee sempre più frequenti e distruttive (dopo la guerra dei Trent'anni, terminata nel 1648, il settecento fu uno dei secoli maggiormente costellato di conflitti), nonché le numerose vessazioni a cui vennero sottoposte le varie popolazioni delle terre oltreoceano conquistate, portarono a credere che il proprio modello non fosse quello giusto, che bisognasse in qualche modo ritornare indietro, alle origini. D'altro canto la polemica anticristiana svolgeva un ruolo fondamentale in tal senso, i numerosi conflitti tra protestanti e cattolici (su tutti la tremenda guerra civile francese, nel XVI secolo), accrescevano il desiderio di un rifugio, una sorta di paradiso in terra in cui si potesse vivere in pace e tranquillità, in cui gli autoctoni vivevano privi di ogni conquista della civiltà, in una sorta di innocenza primigenia dettata unicamente dal rapporto diretto con la natura (è il mito del "buon selvaggio" di Rousseau).
La stessa polemica anticristiana portò gli intellettuali illuministi all'esaltazione di civiltà quali quella araba o cinese, descritte come pacifiche e tolleranti delle varie confessioni religiose, al contrario di un cristianesimo chiuso, dogmatico e bellicoso.
Quando, con l'affermarsi del Romanticismo, la lucida razionalità lasciò il posto all'esaltazione degli slanci e delle passioni, un nuovo concetto, fino ad allora quasi inesistente, si diffuse per l'Europa: il concetto di Nazione.
La lotta dei popoli per affermare il proprio carattere particolaristico nei confronti dei vari imperi sopranazionali come quello austriaco o quello ottomano, fece passare per forza di cose in secondo piano l'idea di una coscienza comune europea, un processo conclusosi nel 1918 quando, con la dissoluzione dei tre imperi ancora esistenti nel mondo (austro-ungarico, ottomano e tedesco), l'idea universale cedette definitivamente il posto al particolare e al principio di autodeterminazione dei popoli.
E ora? A cinquant'anni dalla fine della seconda guerra mondiale, consumate le tragedie che il nazionalismo esasperato ha contribuito a creare, sia a destra che a sinistra, occorrerebbe forse rivolgere un breve sguardo al saggio di Chabod, se non altro per comprendere che l'Europa di cui siamo figli, frutto degli sforzi di grandi statisti come Adenauer o il nostro Alcide De Gasperi (di cui il prossimo anno ricorrerà il cinquantesimo anniversario della morte), nulla sarebbe, senza il peso millenario della sua storia.