Unità dell'Europa nel XXI secolo
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Un grande poeta e filosofo russo, Vjaceslav Ivanov, lanciò all'inizio del XX secolo uno slogan divenuto poi molto famoso: la Chiesa deve respirare con due polmoni, quello orientale e quello occidentale. La frase è stata ripresa da molti, in particolare dal papa Giovanni Paolo II, e viene riferita anche all'unità europea, come richiamo alle radici cristiane del continente, formatosi alla fine del primo millennio dall'unità di popoli occidentali (latini, franchi, sassoni) e orientali (greci, slavi). Nel corso di tutto il Novecento questo ambizioso programma religioso-culturale è stato smentito dalla dura realtà di un mondo drasticamente diviso in due metà, una occidentale e una orientale, che sembravano destinate a non incontrarsi mai; oggi, dopo un decennio abbondante di straordinari cambiamenti, la questione è tornata di stretta attualità. Non mancano tuttavia molti motivi di perplessità riguardo all'unità europea in generale, e anche alla possibile riunificazione dei cristiani di oriente e occidente; il secolo appena iniziato presenta uno scenario denso di sfide, molte delle quali assolutamente decisive.
1. La rinascita religiosa
La prima grande sfida è certamente legata alla rinascita della religione in paesi sottoposti da decenni di propaganda ateista. Il processo di secolarizzazione ha avuto un significato diverso rispetto all'Europa occidentale, che ha vissuto una alternanza dialettica nel dialogo tra la cultura religiosa e quella laica, tra la Chiesa e il mondo, passando da forti contrapposizioni a grandi aperture. L'effetto è che in Occidente il cristianesimo si è saputo spesso adattare a condizioni di minoranza relativa, anche se sempre molto influente, riscoprendo la dimensione più "profetica" e carismatica del Vangelo, fenomeno reso evidente dai nuovi movimenti ecclesiali, che spesso sono diventati un fattore assai rilevante della vita della società, riuscendo anche a influire sui processi sociali e politici. La canonizzazione di Escrivà de Balaguer può essere considerata un simbolo efficace di questo fenomeno, insieme ad altri eventi, legati alla ricezione e alla realizzazione del Concilio Vaticano II.
Nell'Europa centro-orientale, a causa della terribile persecuzione, è venuta a mancare totalmente la dialettica: la Chiesa ha potuto soltanto assumere una posizione di resistenza e di testimonianza, presentando i propri martiri come i veri doni carismatici del XX secolo. Il pericolo oggi è che la santità dei martiri rimanga un ricordo lontano, più che un'eredità feconda, legata a un periodo superato e da dimenticare. Come rendere feconda questa memoria? Questa è una domanda decisiva.
Inoltre, un grande rischio che corrono diversi paesi dell'Europa orientale, soprattutto quelli legati alla tradizione ortodossa, è quello di una specie di "reintroduzione forzata" della religione mediante la pressione sociale. Il crollo delle ideologie, soprattutto di una ideologia totalitaria e totalizzante come il comunismo, ha lasciato un enorme vuoto nelle coscienze degli uomini e nel tessuto della società stessa, e il ritorno alla religione viene attuato a volte in maniera troppo meccanica o artificiosa, fino a sovrapporre - ed è un fenomeno paradossale - la visione del mondo religiosa ad una forma di pensiero che in teoria si basava sull'ateismo, ma in realtà aveva preso l'aspetto di una religione laica, con i suoi dogmi e i suoi rituali.
Una rinascita religiosa autentica deve superare tali equivoci, altrimenti si rischia da una parte di rinchiudere la Chiesa in uno schema formale e arido, quello di "custode dell'ideologia e dell'etica sociale", dall'altra di fornire il pretesto a un nuovo uso politico della religione, sia come pressione indebita sulla libertà di coscienza dei cittadini, sia come elemento di conflitto sociale tra diverse religioni, o tra le religioni tradizionali e i nuovi movimenti religiosi o "sette". Non è un caso che le sette internazionali più dinamiche trovino un fertile campo di proselitismo in Europa centro-orientale, alimentato spesso proprio da un eccesso di politicizzazione delle religioni tradizionali, che porta larghi strati della popolazione a cercare un'alternativa più credibile. Ha detto di recente il card. Lustiger: "Il posto delle religioni pone un problema giuridico molto difficile. E' un problema difficile da gestire, considerando lo statuto nato dal cristianesimo, la separazione cioè tra religione e politica, principio che mi sembra accettato abbastanza universalmente. Allo stesso tempo, la religione non può e non deve essere cancellata dalla pubblica piazza, come è stato richiesto e realizzato da varie ideologie. In particolare tutti i paesi dell'Est hanno conosciuto persecuzioni violente e diffuse che hanno avuto l'effetto di deculturare in modo tragico le tradizioni di quei popoli che si ritrovano senza identità e alla mercé di tutti i fantasmi. Non c'è di che rallegrarsi, per l'ortodossia, dei posti istituzionali che i governi che hanno perso l'ideologia sono pronti a darle. È una tentazione pericolosa, perché il cristianesimo può essere vissuto solo a partire dall'interiorità" (v. in "Nuntium" 17 - 2002).
Si impone quindi ancora di più l'urgenza della nuova evangelizzazione, da affrontare con l'umiltà e il coraggio che era dei primi cristiani, non per imporre al mondo un modello religioso, né per coprire con una patina di spiritualità i nuovi modelli sociali, ma per riscoprire l'energia di grazia dell'avvenimento cristiano come tale. "La tentazione oggi - scrive Giovanni Paolo II - è di ridurre il cristianesimo a una sapienza meramente umana, quasi scienza del buon vivere. In un mondo fortemente secolarizzato è avvenuta una "graduale secolarizzazione della salvezza", per cui ci si batte, sì, per l'uomo, ma per un uomo dimezzato, ridotto alla sola dimensione orizzontale. Noi, invece, sappiamo che Gesù è venuto a portare la salvezza integrale, che investe tutto l'uomo e tutti gli uomini, aprendoli ai mirabili orizzonti della filiazione divina" (Enciclica Redemptoris Missio, 11).
2) La riconciliazione tra le culture
La sfida della rinascita religiosa nei paesi ex-comunisti pone di per sé un problema più vasto, nel senso che interessa il confronto culturale tra le varie componenti dell'Europa, nel contesto di un più ampio confronto planetario tra le varie "civiltà". I popoli europei sono oggi poco capaci di dialogo e di scambio a tutti i livelli. Esistono ancora delle situazioni di grave tensione e conflitto, come nei Balcani e nel Caucaso, o focolai isolati come i Paesi Baschi e l'Irlanda del Nord, dove il processo di riconciliazione è tuttora assai lontano da esiti definitivi, ma nell'insieme i grandi conflitti del XX secolo sono stati superati, soprattutto dopo il crollo del muro di Berlino. Eppure non si può dire che gli europei si conoscano e si sentano effettivamente legati tra di loro: questo è evidente anche nel processo di integrazione della Comunità Europea, e tanto più nel confronto con i paesi più orientali, e soprattutto la Russia. In generale, si assiste a un diffuso disagio degli europei nel riconoscersi nello stile di vita americano, come fa notare ancora il card. Lustiger: "Il modello americano non è in alcun modo esportabile in Europa. È stata proprio la fuga dall'Europa la prima fase della costituzione dell'America per un mondo nuovo". D'altra parte, non vi è chiarezza neppure sui motivi di tale contrapposizione: si rimprovera agli Stati Uniti la diffusione di un ideale fondato sul consumismo, si patisce la sua posizione predominante nel processo della globalizzazione, ci si divide sulla necessità di sostenere o frenare le iniziative belliche americane… le posizioni sono molto diversificate, fino a riproporre perfino un'immagine fantasiosa di complotto occidentale sostenuto da Stati Uniti e Vaticano per imporre al mondo una forma di dominio. Nello stesso tempo, non viene proposta una vera alternativa al modello americano, e non c'è un vero sforzo di confrontare gli stili di vita dei vari paesi europei, che sono in realtà assai variegati (pensiamo alla differenza tra il mondo anglosassone e quello mediterraneo, ma anche ai paesi centrorientali come Polonia e Repubblica Ceca rispetto all'Ucraina, alla Romania o alla stessa Russia).
Un segnale clamoroso di questa difficoltà di dialogo è stato il rifiuto dell'Irlanda ad aderire al trattato di Nizza, che doveva illustrare i contenuti programmatici della nuova Europa politica. L'Irlanda rappresenta l'estremo occidente d'Europa, preoccupato per l'allargamento ad oriente, preoccupazione condivisa anche in altri paesi più centrali (ad es. la Danimarca), a cui fa da specchio la contrarietà della Russia a questo stesso allargamento, visto dall'estremo oriente europeo. La formula di un'Europa "dall'Atlantico agli Urali", anch'essa tanto cara al Papa Giovanni Paolo II, ma non solo a lui, stimola oggi a un impegno maggiore di confronto: tra l'Atlantico e gli Urali esistono infatti stili di vita che hanno in comune delle antiche radici cristiane, e un enorme bagaglio di cultura e di civiltà, ma anche notevoli differenze, che influiscono a loro volta nel complesso movimento di integrazione mondiale in atto nel XXI secolo. È ancora difficile oggi valutare complessivamente le conseguenze della caduta del comunismo sulla mentalità e sulla cultura dei paesi centro-orientali, soprattutto per quanto riguarda le giovani generazioni. Quali sono gli elementi che tengono insieme i popoli europei oggi? Ed è proprio necessaria una "unità ideologica" dell'Europa? Con quanti "polmoni" essa respira? E qual è il ruolo del cristianesimo e delle Chiese in questo processo? Sono tutte domande che richiedono risposte nuove, che non possono scaturire solo dalla memoria del passato.
3) Abbattere le barriere
Il crollo del muro di Berlino ha riaperto la comunicazione tra Est e Ovest in Europa, rimasta interrotta per mezzo secolo. Questo non vuol dire che automaticamente tutti i canali si siano riaperti. Esistono ancora molte barriere che frenano il libero movimento di beni, di servizi e soprattutto delle persone. Le code chilometriche ai consolati dei paesi occidentali e le estenuanti attese per ottenere il visto d'ingresso nell'area Schengen sono un'esperienza quotidiana di centinaia di migliaia di cittadini russi, ucraini, romeni e altri, come d'altra parte le infinite trattative con le dogane per importare in quei paesi i prodotti europei. È vero che la tecnologia contemporanea, l'informatica e la telefonia soprattutto, hanno ridotto di molto queste distanze, ma è ancora oggi assai difficile la libera circolazione su tutto il territorio europeo, e si tratta di un handicap gravissimo in questa fase di crescente globalizzazione. Non si tratta solo di adeguare alcune norme doganali o consolari: si tratta di confrontare tutti gli standard economici, politici e giuridici, cercando non l'uniformità, ma il rispetto di alcuni diritti fondamentali nella valorizzazione delle diversità. In questo contesto il diritto alla libertà religiosa e alla libera organizzazione delle organizzazioni religiose è un principio primario su cui trovare un consenso comune non formale, che non rimanga cioè relegato alle dichiarazioni solenni di alcune assemblee internazionali. I principi stessi di libertà e di democrazia sono intesi in modo assai diverso nei vari paesi, e non si tratta solo di trovare delle definizioni comuni, ma verificare nella pratica una effettiva capacità di garantire a tutti un effettivo diritto alla libertà di coscienza, alla professione della propria fede e delle proprie convinzioni, all'accesso ad una informazione piena ed equilibrata, al lavoro e all'uso dei mezzi di produzione, alla partecipazione alla vita politica e sociale, alla difesa giuridica dei diritti e dei doveri fondamentali.
La globalizzazione in corso pone all'attenzione soprattutto gli aspetti economici dello sviluppo, che in buona parte dipendono proprio dalle soluzione delle questioni fondamentali appena accennate. I paesi centrorientali d'Europa vivono da questo punto di vista un periodo di transizione ancora lontano da un esito compiuto: il passaggio all'economia di mercato è stato vissuto nell'ultimo decennio in modo decisamente traumatico, senza ancora aver raggiunto una situazione complessiva equilibrata e soddisfacente. Il capitalismo post-comunista si è subito orientato ai nuovi meccanismi di scambio globale, permettendo di realizzare in breve tempo guadagni elevatissimi per poche categorie di persone, in grado di controllare soprattutto il mercato delle materie prime e delle fonti di energia, e riversando in un mercato interno ancora fragilissimo una quantità enorme di prodotti di ogni genere e provenienti da ogni parte del mondo, soffocando quasi totalmente l'apparato produttivo, incapace di competere in campo internazionale a causa della lunga paralisi dell'economia socialista. Questo è proprio uno dei meccanismi della globalizzazione che maggiormente richiede di essere "governato" per potersi adattare alla reale condizione sociale di quei paesi, che si trovano coinvolti nel ritmo dell'economia del mondo più avanzato, ma spesso con dei difetti e dei ritardi tipici del terzo mondo, in particolare di certe economie latinoamericane. La Russia, per esempio, ha sfiorato negli ultimi anni una crisi simile a quella attualmente in corso in Argentina, e ancora non è immune dal rischio di un crollo che avrebbe conseguenze difficili da prevedere. S'impone una riflessione sulle capacità dei paesi, soprattutto di quelli europei, di condividere le proprie ricchezze, e soprattutto di esprimere maggiore solidarietà nell'adattarsi ai processi di globalizzazione. Già si intravedono atteggiamenti che si potrebbero definire schizofrenici, di corsa all'inserimento nei mercati globalizzati e, allo stesso tempo, di preoccupante crescita dell'ostilità nei confronti dei padroni della globalizzazione, soprattutto dell'economia statunitense. La Russia più di tutti, per il suo passato e per la sua particolare posizione geopolitica, cerca in tutti i modi di assomigliare all'America proprio mentre ritorna ai toni di un'antiamericanismo che sembrava un ricordo della guerra fredda.
S'impone una ripresa in grande stile della dottrina sociale della Chiesa, compito che Giovanni Paolo II ha indicato a più riprese e che nella società post-comunista e post-sovietica suscita un vivo e trasversale interesse, al di là delle polemiche interecclessiali e interreligiose. Nel 1991 la lettera enciclica Centesimus annus, constatando la sconfitta e gli evidenti errori del socialismo, poneva con chiarezza la necessità di affrontare le sfide della nuova economia che si cominciava a intravvedere, sottolineando l'importanza dei principi di sussidiarietà e di solidarietà, affinchè alle barriere politiche crollate non si sostituissero nuove barriere socioeconomiche. Diceva allora Giovanni Paolo II: "Per alcuni paesi d'Europa inizia, in un certo senso, il vero dopoguerra. Il radicale riordinamento delle economie, fino a ieri collettivizzate, comporta problemi e sacrifici, i quali possono essere paragonati a quelli che i paesi occidentali del continente si imposero per la loro ricostruzione dopo il secondo conflitto mondiale. È giusto che nelle presenti difficoltà i paesi ex-comunisti siano sostenuti dallo sforzo solidale delle altre nazioni; ovviamente, essi devono essere i primi artefici del proprio sviluppo, me deve essere data loro una ragionevole opportunità di realizzarlo, e ciò non può avvenire senza l'aiuto degli altri paesi… Questo corrisponde anche all'interesse e al bene generale dell'Europa, che non potrà vivere in pace, se i conflitti di varia natura, che emergono come conseguenze del passato, saranno resi più acuti da una situazione di disordine economico, di spirituale insoddisfazione e disperazione" (CA 28). È necessario che la dottrina sociale venga insegnata e diffusa a tutti i livelli, ed entri quindi in maniera più organica a far parte della pastorale ordinaria della comunità cristiana. Il papa stesso, invitando a studiare, approfondire, divulgare e applicare nei molteplici ambiti la dottrina sociale, richiama la necessità di una collaborazione da parte delle chiese particolari (cfr. CA 56). Tra la dottrina sociale e la catechesi ci sono rapporti che esigono di essere conosciuti e rettamente attuati. È compito della catechesi mettere in luce le conseguenze sociali del Vangelo, e in tale compito essa trova un necessario riferimento alla dottrina sociale della Chiesa. Nel suo sforzo di educazione alla fede, la catechesi non deve omettere, ma chiarire "l'azione dell'uomo per la sua liberazione integrale, la ricerca di una società più solidale e fraterna, le lotte per la giustizia e per la costruzione della pace" (Esortazione Ap. Catechesi tradendae, n.29).
4) La persona e le istituzioni
Le profonde trasformazioni dell'ultimo decennio hanno anche accentuato un profondo divario tra la vita delle singole persone e il funzionamento delle strutture sociali, creando una situazione di grave disagio che non sarà facile da risolvere. L'immagine stessa dell'uomo contemporaneo, formatasi ormai da alcuni secoli sulla base dell'ideale di autonomia, è messa fortemente in crisi dalla condizione di debolezza e di impotenza in cui la persona umana si trova oggi nella società, e soprattutto nelle società che hanno praticato il modello collettivista. In generale, si è creata una forte sfiducia nelle varie istituzioni statali a tutti i livelli, venendo a mancare quel principio di autorità laica, e spesso laicista, che aveva contraddistinto il mondo moderno in contrapposizione alla cristianità medievale, che proponeva il riferimento costante all'autorità religiosa. Lo Stato moderno, fonte di ogni diritto e potere, oggi non esiste più, e proprio il fenomeno della globalizzazione non fa che accentuare questa crisi. La gente comune non riconosce più l'importanza delle istituzioni civili, dominate dalla corruzione e dalla conflittualità per il potere. Proprio nei paesi ex-comunisti, che così a lungo hanno sviluppato il culto delle istituzioni, il livello di corruzione morale e materiale ha raggiunto livelli inauditi, tanto da apparire spesso l'unica legge vigente, l'unico modo per risolvere ogni conflitto sociale. La partecipazione alla vita politica attraverso i meccanismi della democrazia soffre di crisi acutissima, tanto che in molti paesi dell'Europa centro-orientale la popolazione stessa ha preferito tornare a forme più autoritarie di governo. La rinascita di forme estreme di nazionalismo e localismo è da intendersi come una reazione a volte addirittura isterica alla debolezza delle istituzioni pubbliche, spesso in nome di tradizioni passate che hanno ormai poco significato reale nel presente. L'amore alla patria diventa uno spirito di conflittualità aggressiva, che cerca nella contrapposizione al nemico vero o presunto i termini di un'identità da tempo perduta. Come nel Medioevo post-imperiale, oggi la Chiesa è chiamata a rimodellare la coscienza sociale, indicando nell'evento di Cristo il punto da cui partire, per riscoprire le fondamenta reali del potere e del servizio, il senso dell'autorità vera e dell'unità dei popoli per il bene comune. Proprio la dimensione mondiale dello sviluppo sociale dovrà favorire questo compito: la cattolicità della Chiesa è l'unica fonte di autorità spirituale che non è messa in crisi dal crollo dello stato moderno, e ha quindi la responsabilità di riscoprire e riproporre la propria natura in modo credibile, senza farsi strumentalizzare dai movimenti radicali apocalittici, che vedono nella globalizzazione un evento demoniaco distruttivo, o dai movimenti sciovinisti che difendono un astratto particolare etnico o nazionale. L'ecclesiologia del Concilio Vaticano II ha riproposto un'ideale patristico di Chiesa come comunione spirituale: oggi questo ideale deve essere nuovamente saldato alla realtà della Chiesa come istituzione sociale, non più "perfetta" e chiusa in se stessa, ma aperta e dialogante con un mondo alla ricerca dell'identità.
Del resto, il problema dell'identità non ha solo una dimensione sociale e pubblica, ma anche e soprattutto personale e spirituale. L'illusione dell'autonomia rende l'uomo non soltanto impotente di fronte all'oppressività delle varie forme di potere, ma lo fa sentire anche profondamente solo e disperato di fronte al proprio destino. La disperazione è forse la malattia più grave dell'uomo contemporaneo, ed è resa evidente dalla spaventosa crisi della famiglia, l'istituzione più naturalmente legata alla persona. La famiglia è in crisi ovunque, e nei paesi dell'Europa centro-orientale sembra quasi essere stata sradicata dalla coscienza delle persone: il potere ateista era infatti sostanzialmente un terribile nemico della famiglia. I rapporti interpersonali fondamentali, tra genitori e figli, tra fratelli e parenti, e di conseguenza tutta la catena dei rapporti sociali, sono ridotti a forme di strumentalizzazione reciproca, non di unità umana profonda e feconda. Si sta insieme per convenienza, e la convenienza ha sempre dei termini molto limitati. La legge che regola i rapporti è quella dell'indifferenza etica, dell'insignificanza per la persona, e quindi della precarietà più assoluta, che porta anche a una notevole aridità: la famiglia, per quel poco che resiste nel suo insieme, non è più luogo di comunicazione umana e di comunicazione della verità, non accompagna nelle grandi questioni della vita, ed è perfino ormai poco capace di generare: le società post-comuniste, la Russia soprattutto, sono ormai incapaci di rigenerarsi, e sono davanti allo spettro della depopolazione e della immigrazione incontrollata, con tutti gli sconvolgimenti sociali che questo comporta. La pastorale della famiglia, così fortemente sostenuta dal magistero di Giovanni Paolo II, è uno degli esempi più evidenti del grande compito missionario della Chiesa nel terzo millennio: riscoprire il significato della famiglia significa ritrovare l'uomo nel deserto del mondo contemporaneo (cfr. Novo Millennio Inenunte 47). Come più volte ha richiamato lo stesso Giovanni Paolo II, è infatti l'uomo la via tracciata alla Chiesa da Cristo con il mistero della sua incarnazione e redenzione (cfr. enciclica Redemptor Hominis). Per questo la Chiesa deve prendersi cura e avere responsabilità per l'uomo reale, concreto e storico, inserito nella complessa rete delle relazioni che sono proprie delle società moderne. La centralità dell'uomo dentro la società diventa, oggi specialmente, l'indicazione fondamentale e programmatica della dottrina sociale nel terzo millennio cristiano: da questo scaturiscono un metodo e un impegno variamente configurato, in relazione ai molteplici ambiti nei quali tale dottrina viene studiata, diffusa e applicata.
5) Gli evangelizzatori del sociale
Nella esortazione Christifideles laici Giovanni Paolo II afferma: "per la evangelizzazione del mondo occorrono, anzitutto, gli evangelizzatori" (n.35). L'obiettivo di una nuova evangelizzazione del sociale deve impegnare profondamente tutti coloro che si dedicano alla pastorale del lavoro, dell'economia e della politica; esige nuovo ardore, nuovo spirito, nuova determinazione, nuovi atteggiamenti, nuovo stile nell'assumere e vivere la missione dell'annuncio del Vangelo. È lo stile che onora e rende attuale la testimonianza dei martiri, i grandi evangelizzatori del XX secolo, il secolo delle persecuzioni più terribili di tutta la storia della Chiesa. "Riferita a Pontefici ben noti alla storia o ad umili figure di laici e religiosi, da un continente all'altro del globo, la santità è apparsa più che mai la dimensione che meglio esprime il mistero della Chiesa… È un'eredità da non disperdere, da consegnare a un perenne dovere di gratitudine e a un rinnovato proposito di imitazione" (NMI 7). La santità del martirio suscita la vocazione alla missione. Solo un malinteso spirito di compromesso col mondo, un'autoemarginazione della Chiesa, può far temere l'ardore missionario della Chiesa, soprattutto dei laici impegnati nelle realtà temporali. Non si tratta di mettere in pratica un programma studiato a tavolino, ma di lasciar esprimere la creatività dello Spirito Santo in tutte le circostanze della vita quotidiana; solo così può essere vinta la solitudine, la disperazione e l'emarginazione dell'uomo contemporaneo. La Chiesa esiste per rendere testimonianza alla presenza di Cristo nel mondo. È necessario, dunque, rinnovare e alimentare in noi lo spirito missionario, superando schemi mentali, attitudini psicologiche, azioni abitudinarie, per annunciare il Vangelo della salvezza a tutti, ai cristiani "tiepidi" e a quanti sono alla ricerca, ai "lontani" e a tutte le persone di buona volontà. Il Vangelo deve essere proclamato non solo a parole, ma anche e in primo luogo mediante una vita ad esso coerente: la testimonianza di vita autenticamente cristiana è il primo mezzo di evangelizzazione. L'apostolato dei laici in particolare si articola in un continuo richiamo tra la testimonianza personale e la capacità di aggregazione, come avviene soprattutto nei vari movimenti ecclesiali, per rendere viva ed efficace la presenza della Chiesa nei vari ambienti in cui gli uomini sono attivi e si incontrano, per trovare modalità più persuasive e adeguate alle esigenze di tutti, e soprattutto dei più giovani.