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Un programma da bocciare 2. Ancora sul programma-scuola dell’Unione

Autore:
Persico, Roberto
Fonte:
Tempi n.10 del 02.03.2006

Le "Conferenze di scuola" non sono l'unico parlamentino proposto da Prodi & C. Subito dopo infatti si afferma che «dobbiamo garantire a tutti i docenti la libertà di insegnamento prevista dall'art. 33 della Costituzione. Solo tramite tale libertà si promuove infatti la piena formazione della personalità degli alunni. È necessario, pertanto, che a livello regionale e nazionale siano costituiti organi di rappresentanza e garanzia dell'autonomia della libertà di insegnamento». Più orwelliano di così: tutti devono essere liberi, quindi occorre un soviet che dica cos'è questa libertà. Pensate cosa succederebbe alla povera Angela Pellicciari in un tale regime.
Proseguiamo. L'apertura più significativa della legge 53 all'autonomia scolastica sta nella possibilità riconosciuta alle scuole del primo ciclo di organizzare il tempo scuola in modo flessibile, d'accordo con le richieste delle famiglie e le caratteristiche del territorio. Cosa risponde l'Unione? «Vanno eliminate le riduzioni dell'orario di tutti apportate dalla Moratti. Puntiamo alla valorizzazione del tempo pieno e del tempo prolungato, ripristinandone la normativa nazionale». Autonomia?
Secondo ciclo? Non ci sono dubbi, la valorizzazione delle «differenti metodologie dell'apprendimento» e delle «diverse capacità e modalità di crescita delle persone» (vedi sopra) passa attraverso l'abolizione della possibilità offerta dalla legge Moratti di assolvere il diritto-dovere anche nell'istruzione e formazione professionale: fino a 16 anni tutti a scuola. Quelli che non riescono a stare nei banchi, poi, avranno un loro monte-ore delegato ai centri di formazione professionale, secondo il modello già sperimentato con esiti fallimentari in Emilia e in Toscana. L'idea che la formazione tecnica, la formazione professionale abbiano una propria dignità culturale, siano un percorso attraverso il quale un ragazzo può aprirsi alla totalità del mondo, come già avviene oggi in Lombardia, in Piemonte, in Veneto - è un fatto, da toccare con mano, non un'idea - non sfiora nemmeno i difensori dei lavoratori.
Dulcis in fundo, gli insegnanti. «Sono - ovviamente - necessarie politiche di valorizzazione della professionalità di chi opera nella scuola». Quali? Il «rilancio di un sistema della prima formazione, del reclutamento, della formazione in servizio». Come? Non è detto. La «lotta ad ogni forma di precarietà», ovvio, con l'immediata immissione in ruolo di coloro che già lavorano nella scuola. E naturalmente l'aumento «delle retribuzioni di tutto il personale al livello dei Paesi europei». Chi sarebbe contrario? Ma, di grazia, con quali risorse? Si rende conto qualcuno che l'aumento di un euro netto al mese a ogni dipendente di viale Trastevere implica un esborso di 24 milioni di euro all'anno? Che cento euro - non gran cosa rispetto alle promesse - fanno 2 miliardi e 400 milioni? Non una parola, naturalmente, sull'ipotesi di legare gli aumenti alla valutazione delle reali capacità professionali, dell'impegno, dei risultati.
Peccato. Perché anche a sinistra non tutti ragionano così. Domenico Chiesa, presidente del Cidi, Fiorella Farinelli, responsabile scuola della Margherita, hanno espresso posizioni più articolate, più realistiche, più aperte a una pluralità di percorsi, sia nella scuola, sia per lo sviluppo della professionalità degli insegnanti. Sarà possibile ragionare con loro? O bisognerà arrendersi ai diktat rifondaroli e cigiellini che evidentemente hanno dato forma al programma?

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