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Rassegna stampa, 12 gennaio 2004

Autore:
Scalfi, Romano



I rapporti Chiesa-Stato sono stretti e ottimali, Intervista al patriarca Aleksij, "Kommersant", 9 gennaio

Le domande dell'intervistatore riguardano in primo luogo questioni politiche ed economiche (qual è la posizione della Chiesa nei confronti delle diverse forze politiche, come si autofinanzia e quali sostegni riceve dall'esterno ecc.).
Il Patriarca parla di equidistanza e apertura a tutte le forze politiche, perché la Chiesa accoglie tutti come figli di Dio, e constata "con soddisfazione che partiti e movimenti politici in Russia riservano sempre più attenzione agli aspetti morali e spirituali della vita dell'uomo e della società, alla necessità di costruire il futuro del nostro paese sui fondamenti dei valori religiosi originari".
Aleksij depreca la nuova normativa fiscale entrata in vigore dal 1° gennaio, che sottopone alla tassazione i beni della Chiesa non usati direttamente a scopi religiosi, perché costituisce un duro colpo per l'attività caritativa della Chiesa, togliendole risorse preziose.
Si fanno inoltre, in seguito alle domande dell'intervistatore, due accenni all'Appello del 1° aprile all'unità del mondo ortodosso di origine russa in Occidente sotto l'egida del Patriarcato di Mosca e alle trattative con la Chiesa ortodossa russa all'Estero, sostenendo che "la questione dell'unità dei russi all'estero è matura e richiede una soluzione", e che "noi siamo pronti a una discussione reciprocamente rispettosa senza preclusioni di sorta. Non si possono superare di colpo i disaccordi accumulatisi in tanto tempo. Siamo però lieti di aver fatto il primo passo per esaudire un annoso desiderio di tanti nostri connazionali sia in patria che all'estero".
Dal ultimo, sul ruolo svolto da Putin nelle trattative con la Chiesa ortodossa all'estero, pur sottolineando che il ripristino dell'unità è compito della Chiesa, il patriarca afferma: "Guardiamo con soddisfazione l'attenzione prestata a questo problema dalla società, dall'autorità, personalmente dal Presidente del nostro paese. In molti documenti della Chiesa all'estero si dice che rimarrà separata fino a quando in Russia continuerà ad esistere un potere ateo. Credo pertanto che per i vescovi della Chiesa russa all'Estero sia stato importante incontrare personalmente Putin e trarre le proprie conclusioni rispetto al fatto, se sia giusto considerare l'attuale potere statale in Russia come ateo".

Roman Lunkin, I servizi segreti contro i missionari, portal-credo.ru, 24 dicembre

Per oltre 10 anni le autorità russe non avevano prestato grande attenzione all'attività delle diverse missioni e organizzazioni straniere. Dopo il 2000 è diventato evidente che iniziava una campagna contro i missionari, che ha raggiunto il culmine nel 2002, quando dal paese sono state cacciate 18 persone (oltre ai cattolici, mormoni, musulmani e buddisti). Alla fine del novembre 2003 è stato dato l'ultimatum all'ennesimo missionario, il battista Tachir Talipov, che guidava questa Chiesa in Tatarstan dall'inizio degli anni '90. L'accusa mossa a Talipov è che la concezione della sua Chiesa e la sua attività "non corrispondono agli interessi del paese, hanno un carattere estremista e costituiscono una minaccia per la stabilità della situazione interconfessionale e interetnica". Insieme ai loro leader, vengono sconfessati anche valori politici e culturali propugnati dai protestanti in Russia, che sono cittadini russi a tutti gli effetti.
L'impetuoso incremento del protestantesimo negli anni '90 ha fatto sì che le Chiese evangeliche penetrassero nelle sfere sociali e culturali di interesse della burocrazia e delle religioni tradizionali. Dal momento che era praticamente impossibile limitare l'attività delle Chiese protestanti, regolarmente registrate e attive da oltre 10 anni, il controllo dell'attività missionaria è stato affidato alla FSB, chiamata a sorvegliare che i missionari non svolgano "opera eversiva estremistica" tra la popolazione. Agli occhi dell'opinione pubblica l'FSB difende i valori nazionali contro l'introduzione di una fede "occidentale", quindi pericolosa per il paese, e quindi non trovano nessun ostacolo nella società.
Per le missioni in Tatarstan, Kalmykija, Adigej e Altaj, da dove sono stati cacciati i predicatori occidentali, il problema fondamentale da risolvere era l'impiego di motivi, tradizioni e usi nazionali nella vita della Chiesa. La missione protestante ha saputo superare i diffusi stereotipi secondo cui, diventando battisti o pentecostali, si smarriscono le proprie radici nazionali. Non va dimenticato che l'attività missionaria viene svolta in una società laica, dove solo una minoranza della popolazione pratica la fede tradizionale (islam, buddismo o sciamanesimo che sia). In questa situazione l'appello dei protestanti alla storia popolare, a elementi dell'epica, alla lingua e ai costumi induce la gente alla fiducia. Nella Chiesa evangelica, che ha inserito nella liturgia abiti, melodie e strumenti musicali nazionali, i neofiti hanno riscoperto oltre alla fede anche la propria cultura nazionale rinata in uno spirito protestante.
Seguono alcune storie personali di missionari espulsi.
Esemplificando soprattutto la situazione del Tatarstan, dove si contano 1500 fedeli evangelici solo a Kazan', si sottolinea l'attività culturale (traduzione della Bibbia in tataro, celebrazioni nella lingua della popolazione ecc.), l'aiuto sociale prestato (invalidi, drogati, senzatetto ecc.).
Un altro aspetto che preoccupa le autorità è la formazione socio-politica e la visione economica dei protestanti, che educano i loro fedeli nello spirito della democrazia e dei diritti civili. Alle elezioni la maggioranza vota per "Jabloko" e per l'"Unione delle forze di destra", guardando con una certa diffidenza "Russia unita".
Si osserva tuttavia che la cacciata dei leader missionari dal paese non è stata una catastrofe per le loro Chiese, perché le comunità sono ormai compaginate e dotate di una propria formazione, ormai hanno dei propri ministri di nazionalità locale e ai autofinanziano, così che non sono vincolate al sostegno estero.

Ekaterina Šchetkina, Inchiesta sociologica sull'appartenenza religiosa in Ucraina, "Zerkalo nedeli", 15 novembre

Inchiesta svolta dal "Centro ucraino di ricerche economiche e politiche Razumkov".
I credenti si sono divisi in parti pressoché uguali tra coloro che frequentano la chiesa (37,4%), e coloro che non la frequentano (37,8%). Il 21,9% degli interpellati si è dichiarato non credente, e un altro 2,9% non si è pronunciato in merito. Quindi la differenza tra "credenti" e "praticanti" rimane tuttora viva; non solo, ma perfino quanti frequentano la chiesa non sempre vi partecipano nel senso pieno della parola. Un anno fa il "Centro Razumkov" aveva già reso nota un'inchiesta in cui tra coloro che frequentano la chiesa, solo il 5,9% ci va più spesso di una volta alla settimana, il 13,7% una volta alla settimana, il 18,7% una volta al mese e la maggioranza (52%) solo in occasione delle grandi festività. Si tratta sovente di una fede istintiva, spontanea, per cui vi sono non credenti che tuttavia si dicono ortodossi.
Grossi problemi sorgono con la definizione di appartenenza ecclesiale. Innanzitutto, si rileva una grossa confusione nella stessa definizione del termine "Chiesa", il 72,1% di coloro che la frequentano e il 38% di coloro che non frequentano le cerimonie religiose ravvisano in essa la via al raggiungimento della salvezza e della verità. Per circa un terzo di essi (35,4 e 29,9) la Chiesa è un mezzo per salvarsi da malattie e sventure. È un luogo di rapporti positivi per il 23% dei praticanti, per il 22,6% dei non praticanti e perfino del 16,2% dei non credenti. Il 19,5% dei praticanti e il 15,5% dei non praticanti riconoscono nella Chiesa un fattore di consolidamento della nazione, mentre solo pochi credenti (1,7 e 5,5) le attribuiscono un influsso sulla risoluzione di questioni politico-sociali. Abbastanza interessante il fatto che per il 3,5% dei praticanti la Chiesa non si differenzi in nulla da istituzioni statali; con questa affermazione si sono dimostrati d'accordo il 12,3% dei non praticanti, mentre un 12% dei medesimi identifica la Chiesa con riunioni di carattere superstizioso.
Questa definizione di "riunioni di carattere superstizioso" è stata ribadita dal 46,6% dei non credenti, e un 33,1% la vede come un modo per estorcere soldi. Un 14,8% ritiene che la Chiesa possa influire sulle soluzioni politiche, e il 13,5% è convinto che la Chiesa non si differenzi in nulla da istituzioni statali. Qualcuno dei non credenti pensa che la Chiesa possa influire sulla salute e sulla riuscita nella vita (4,8%) e sull'unità della nazione (7,3%).
Il fattore "canonicità" continua a restare tra parentesi sia per credenti che per non credenti. Oltre metà degli interpellati non capisce che cosa significhi "canonicità" (il 49,9% dei praticanti, il 55,2% dei non praticanti e il 62,9% dei non credenti). Tra quanti capiscono (o credono di capire), la maggioranza ritiene che il fattore "canonicità" non sia assolutamente importante (rispettivamente il 21,7, 20,9, 19,9). Infine, solo il 13,7% dei praticanti riconosce solo le Chiese canoniche.
Evidentemente, questo disinteresse della gente per la canonicità delle Chiese influisce anche sulle autorità statali, che a loro volta appoggiano la Chiesa dominante nella regione oppure (come fanno le autorità centrali), seguono la piega che prendono gli eventi. Periodicamente si osservano alleanze a livello locale (ad esempio tra greco-cattolici e gruppi del patriarcato ucraino, nonostante le dichiarazioni della Santa sede secondo cui i cattolici hanno rapporti solo con le Chiese canoniche), talvolta su "base nazionale".
Il 52,2% dei praticanti ritiene che una Chiesa nazionale sia necessaria, il 34,4% ha il parere opposto; il 50,2% dei non praticanti ritiene che una Chiesa nazionale non abbia alcun senso, e con essi concorda il 64,5% dei non credenti. Ciò che attira nella Chiesa nazionale è il fattore tradizionale (25,8% dei praticanti), la lingua comprensibile in cui si celebra la liturgia (23,6%), il sostegno all'idea dell'indipendenza dell'Ucraina (20,4%). Pressappoco le stesse risposte in percentuale si osservano tra i non praticanti, mentre il 41,5% dei non credenti fatica a rispondere alla domanda.
Tra i contrari all'idea di una Chiesa nazionale, il 61,6% ritiene che nella Chiesa non sia importante l'appartenenza nazionale, e il 32% la ritiene addirittura un'idea pericolosa.
Il giudizio su un'eventuale Chiesa ortodossa ucraina nazionale, di cui tanto si parla, è analogo a quello dato sul problema della canonicità: il 49,7% degli interpellati non sa a che cosa ci si riferisca. Tra i credenti, il 26,1% la ritiene indispensabile, il 19,9% non ne vede la necessità. Anche alla domanda, di chi sarebbe compito creare questa Chiesa nazionale, il 52,4% degli interpellati non ha saputo rispondere, gli altri hanno indicato i rappresentanti delle Chiese mediante trattative (21,8%), le Chiese e l'opinione pubblica (10,3%), la Chiesa e lo Stato (7,2%). Interessante che il coinvolgimento dell'autorità statale sembri più logico ai praticanti (10,6%) e meno ai non credenti (3,7%). Quindi, la costituzione di una Chiesa nazionale è più una figura retorica sulle labbra dei politici che un'esigenza dei cittadini.
La gente ha invece riflettuto molto di più sui conflitti interconfessionali. Il 20,5% non ha saputo rispondere su ciò che serve in primo luogo per superare le attuali contrapposizioni, mentre la maggioranza (44,8%) ha sottolineato la necessità della tolleranza. Segue come terza l'idea di unire tutte le Chiese ortodosse in un'unica (13,1%), e quest'idea è cara in particolare ai praticanti (15%).
Circa un terzo di quanti hanno risposto considera l'Ucraina un paese ortodosso. I più inclini a questa posizione sono i non praticanti e la maggioranza dei non credenti. Piace di più l'idea dell'"Ucraina ortodossa", che non quella dell'"Ucraina cristiana" (23,7% degli interpellati), e dell'"Ucraina pluriconfessionale" (18,1%). Il 13,1% degli interpellati ritiene l'Ucraina un paese laico. In questo modo, l'ortodossia viene considerata soprattutto come un simbolo nazionale, e non sottintende affatto un'appartenenza ecclesiale.
A questa conclusione spinge anche il fatto che solo il 37,3% degli interpellati ritiene che la Chiesa debba intensificare un'attività missionaria, mentre il 23,8% è perfettamente indifferente. Oltre la metà (53%) ritiene che le informazioni religiose esistenti siano più che sufficienti, e secondo un 8,7% sono addirittura troppe. Questo venire meno dell'interesse per la problematica religiosa potrebbe essere determinato dal fatto che l'intolleranza ha allontanato la gente, oppure dai problemi della sopravvivenza quotidiana.
Interessante la conclusione dell'articolo, sulla base dei dati presentati: "Non c'è da stupirsi che la nostra appartenenza all'ortodossia sia molto vicina alla nostra appartenenza alla nazione... Per il non praticante poi questa tradizione non è legata neppure alla fatica di partecipare alle funzioni. La fede è semplicemente una "tradizione popolare", che non esige da lui il minimo impiego di energie. È il tipico abitante del "territorio canonico", il parrocchiano eternamente potenziale, che talvolta si fa beffe delle "superstizioni religiose", indifferente agli sforzi missionari della Chiesa, pienamente soddisfatto dell'informazione religiosa esistente. Il concetto di "territorio canonico" qui è più mentale che geografico, è una sorta di comprensorio di tradizioni alla periferia della nostra attività intellettuale, in cui accanto alla nostra "ortodossia" convivono la lingua madre, la bandiera, l'emblema, l'inno, i valori democratici e così via, che generalmente non usiamo, ma a cui ci rivolgiamo di quando in quando come a degli stereotipi".

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