Rassegna stampa, 15 marzo 2004
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Pavel Parfent'ev, In Russia noi non siamo ospiti. Commenti di un greco-cattolico alla visita del card. Kasper in Russia, "credo.ru", 3 marzo
1. Padroni di casa e ospiti
Nel suo lungo articolo, l'autore prende le mosse da alcune dichiarazioni rilasciate dal metropolita Kirill il 22 febbraio, a una trasmissione televisiva sul canale NBN, in cui affermava che in Russia la Chiesa cattolica è entrata come in casa d'altri, di proprietà del Patriarcato ortodosso. Per questo i cattolici in Russia devono sentirsi ospiti e agire come si conviene a degli ospiti, seguendo le regole che vengono loro poste.
Di quali regole si tratta? Le risposte il metropolita Kirill e i suoi collaboratori le hanno già offerte da un pezzo: le accuse di espansione cattolica che sono esplose dopo la creazione delle diocesi nel 2002, esposte tra l'altro nel "dossier analitico" curato a suo tempo dall'OVCS.
Tuttavia, esaminando quel dossier si rileva che le accuse qui esposte sono molto strane, i "fatti" esposti non corrispondono in maggioranza alla realtà, vi si rilevano facilmente contraddizioni ed errori storici. La risposta dell'arcivescovo Kondrusiewicz è stata puntuale e ha confutato punto per punto la maggior parte delle accuse. Purtroppo però questa risposta è rimasta sconosciuta ai più, semplicemente perché il servizio-stampa di Kondrusiewicz è molto meno efficace di quello del patriarcato. Del resto, anche gli ortodossi hanno ignorato la risposta, e le accuse sono state più volte rinnovate come se nulla fosse.
L'autore passa poi a esaminare le "regole" proposte dal Patriarcato, e in primo luogo l'invito a rinunciare al "proselitismo" sui "territori canonici", entrambi "miti" creati travisando il significato reale dei termini, e sostituendo al battesimo, attraverso cui ogni uomo entra nella Chiesa, un'idea di appartenenza "storico-culturale" dei russi all'Ortodossia. Seguono gli argomenti più volte ripetuti, secondo cui anche la Chiesa ortodossa crea proprie strutture in Occidente, che non sono rivolte unicamente ai russi: ad esempio, in Italia nel 2001 su 9 parroci ortodossi solo 3 hanno nomi russi, e in Francia sono 5-6 su 20, in Gran Bretagna 2-3 su 32. Rispetto all'accusa di presenze "missionarie di ordini e congregazioni cattoliche, si può dire che in Italia esistono 7 comunità che portano il nome di "missione ortodossa", e appartengono tutte al patriarcato di Mosca.
2. I cattolici russi e la testimonianza di fede
Gli ultimi anni dimostrano che a fronte di passi amichevoli e concessioni da parte della Chiesa cattolica, la leadership patriarcale aumenta sempre le pretese, come si è visto anche durante la visita del card. Kasper. Alla sua disponibilità a dialogare si è risposto in modo indegno, tirando fuori tra l'altro la storia del carmelo di Nizhnij Novgorod (che proselitismo può fare - per definizione - un monastero di clausura?), favorendo una vera e propria ondata isterica, e invitando i fedeli ortodossi a denunciare tutti i casi conosciuti di "atteggiamenti ostili" da parte dei cattolici (dichiarazioni di Chaplin).
Come reagisce la Chiesa cattolica? Con un ammirevole amor di pace, che a volte tuttavia sembra superare il limite. Viene da pensare che le nostre autorità ecclesiastiche dovrebbero chiamare l'operato del Patriarcato con il suo nome, spiegare i principi su cui si basa la nostra attività e, senza badare a offese e pretese, lavorare con onestà e apertura di spirito in conformità ad essi. Alcune dichiarazioni del cardinal Kasper potrebbero far pensare che la nostra Chiesa sia d'accordo con la definizione di proselitismo che danno gli ortodossi e con le loro richieste. Come cattolici, non possiamo rinunciare a riconoscere che la pienezza della verità è affidata alla Chiesa cattolica, e a desiderare che tutti gli uomini vi aderiscano, come si dice del resto nella "Regola di applicazione dei principi e delle norme sull'ecumenismo" (Pontificio consiglio per l'unità dei cristiani, 1993).
D'altro canto, se la frase che ogni tanto si sente dire perfino dai cattolici, "non vogliamo vedere la Russia cattolica", significa che "non vogliamo che i russi diventino tutti cattolici latini, membri della Chiesa occidentale", è giusta. La Chiesa cattolica non si limita alla tradizione latina, e hanno ragione quelli che in Russia vorrebbero la comunione con Roma senza però rinunciare alle tradizioni spirituali dell'Oriente cristiano, caratteristiche della Russia. Non è giusto e ammissibile, in ogni caso, respingere come si fa oggi talvolta dei russi ortodossi che vogliono entrare nella Chiesa cattolica, per non irritare il Patriarcato.
Non è escluso che le disgrazie della Chiesa cattolica in Russia derivino paradossalmente dal fatto che noi russi cattolici abbiamo paura di essere noi stessi, per paura delle reazioni della "Chiesa-sorella" e anche della nostra gerarchia, che non vuole avere "complicazioni". Questa paura, se non sapremo superarla, produrrà in futuro le conseguenze più negative per la vita della nostra Chiesa. Non dobbiamo avere paura di intervenire pubblicamente, testimoniando le nostre posizioni, chiamandoci cattolici russi e usando e diffondendo i nostri strumenti. Nell'ambito del dialogo ecumenico è giusto e doveroso informare i rappresentanti della Chiesa ortodossa delle diverse iniziative, ma se in risposta ci solleveranno pretese ingiustificate e restrizioni, vuol dire che questa via è un vicolo cieco, innanzitutto per loro stessi.
Io sono russo e cattolico, amo la mia Chiesa e il mio popolo, non mi sento un ospite e non vedo nessuna contraddizione tra le due cose; al contrario, mi sento la stessa responsabilità degli ortodossi a testimoniare la mia fede davanti a Dio e agli uomini.
3. Dialogo cattolico-ortodosso
Nel dialogo non bisogna cedere alla tentazione di ridurre la verità per far piacere all'interlocutore, o di basarsi su calcoli politici che presuppongono l'idea di trattare solo con i forti. Perché non aprire il dialogo anche con le Chiese ortodosse "alternative" al Patriarcato di Mosca? Noi dobbiamo considerare solo il fatto se siano provviste o no di sacramenti validi e non professino palesi eresie, il resto non ci interessa, non facciamo differenze (l'esempio è offerto dalle Chiese ortodosse presenti attualmente in Ucraina). Seguono infine alcune considerazioni sul concetto di Chiese-sorelle, che rischia di spogliare la Chiesa cattolica del suo universalismo per ridurla a Chiesa locale di Roma.
Maksim Gamzin, Cattolici e ortodossi si dividono le sfere di influenza?, "Prospekt", 25 febbraio
Sul sito "portal-credo.ru" (6 marzo) è apparso un articolo preso da un giornale di Nizhnij Novgorod, che prende le difese del carmelo, mettendo l'accento sulla presenza e sulla tradizione cattolica della città, e sulla pretestuosità politica del conflitto, legato in primo luogo alla visita del cardinal Kasper e alle necessità della gerarchia ortodossa di produrre delle accuse. In realtà, osserva l'autore, intanto proliferano sette stranissime che nessuno si cura di controllare.
Le elezioni presidenziali e la vittoria di Putin
Georgij Il'ichev, Demandata al presidente la responsabilità del paese, "Izvestija", 16 marzo
Un sondaggio della Fondazione "Opinione pubblica" (FOM) ha confrontato le priorità indicate in campagna elettorale da Putin con quelle dei cittadini (campione di 2000 interpellati).
Solo una priorità coincide, e cioè l'accelerazione dei ritmi di incremento dell'economia. Le disparità più grosse si rilevano nella sfera sociale. 30% dei russi ritiene di primaria importanza la riforma della sanità, ma solo il 6% ritiene che sia una priorità anche per Putin. Aspettative e dubbi anche sulla riforma scolastica (21% e 6% rispettivamente). Insomma, i russi sperano molto più nelle riforme economiche che non in quelle sociali del presidente.
Circa le priorità poste da Putin nella lotta contro il terrorismo e nell'integrazione europea, la gente si dimostra scettica: soprattutto per quanto riguarda il terrorismo, solo il 7% dei rispondenti spera in un successo, e il 17% è pessimista.
D'altro canto, quando la domanda sulla riuscita dei programmi riformistici di Putin è stata posta in termini generici, il 48% ha risposto affermativamente, e solo il 22% negativamente: insomma, il presidente è visto come un politico di successo, che fa sperare in cambiamenti positivi.
Da ultimo, interessante rilevare che circa metà degli interpellati non ha saputo citare neppure una sfera concreta in cui il presidente si impegna; secondo gli analitici, questo significa che una parte rilevante della popolazione non è desiderosa di interessarsi della logica del corso politico e rpeferisce delegare in toto al presidente la responsabilità delle sorti del appese.
S. Babaeva, G. Bovt, Modernizzazione anziché democratizzazione, "Izvestija", 15 marzo
Nella vittoria di Putin gli autori vedono in atto un processo di modernizzazione in grande stile della Russia, a cui viene sacrificata la democrazia. E si domandano: la vittoria di Putin a queste elezioni pressoché senza alternativa è una testimonianza del pieno consenso nella società rispetto agli scopi programmatici che questi si accinge a realizzare? O la mancanza di un'alternativa testimonia semplicemente che le elezioni non avevano alcun contenuto? O la società ormai non considera più le elezioni come un elemento che possa influire sulla sua vita? Dalle elezioni nessuno si aspettava niente, era tutto già previsto e scontato, la democrazia è diventata pienamente manovrabile... La risposta a questi interrogativi - proseguono gli autori - è di secondaria importanza. La gente ha votato per Putin perché si attende che il secondo mandato non sia perlomeno peggio del primo. E in questo primo mandato Putin ha scelto la via tradizionale per la Russia, quella delle riforme dall'alto, cioè della modernizzazione scelta al posto della democratizzazione.
V. Vorob'ev, T. Shkel', Il Presidente diventa Presidente, "Rossijskaja gazeta", 15 marzo
Si pone l'accento sul fatto che Putin è stato scelto dalla maggioranza dei russi, nonostante i timori di non raggiungere il quorum dei votanti o che prevalessero i votanti scheda bianca.