Matrimonio gay?
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"Libertà non è star sopra un albero…" cantava Gaber, non è nemmeno fare sempre ciò che si vuole, perché se qualcuno afferma che non si fa, allora lede la mia libertà.
Si parla in questi giorni di matrimonio gay, a mio avviso i cattolici, tranne qualche eccezione, sono come sempre "tiepidi", stanno a vedere cosa dicono gli altri, dirsi contrari non sta bene, si rischia di essere scambiati per bacchettoni o peggio integralisti, meglio tacere.
Altro che tacere, qui bisogna pure che ci intendiamo sui termini, sulle parole.
Il matrimonio è l'unione di un uomo e di una donna che si impegnano, davanti a un'autorità civile o ecclesiastica, a una completa comunione di vita nel rispetto dei reciproci diritti e doveri.
Civile o religioso il matrimonio non è un "affare privato" tra i due coniugi, è un'istituzione che investe tutta la società.
Gli sposi si prendono degli impegni reciproci e delle responsabilità nei confronti dei figli, minare questa istituzione, indebolirla, svuotandola di ogni valore, non può che ledere alla base l'intera società.
Legalizzare il matrimonio o le unioni civili per le coppie gay, vuol dire separare il concetto di matrimonio da quello di paternità, vuol dire sancire e difendere solo i diritti degli adulti, scordandosi i diritti dei bambini.
Due uomini o due donne che vivono insieme sono una coppia, una coppia di uomini o di donne, non una coppia di coniugi.
Se si tratta di trovare una forma giuridica, che tuteli il loro patrimonio, il diritto di successione in caso di morte di uno dei due componenti la coppia, su questo la giurisprudenza dica la propria, ma è inutile che la signora Palombelli cerchi di convincerci che i matrimoni gay rafforzano l'istituzione del matrimonio.
Non si tratta di essere contro qualcuno, i gay, o a favore di altri, gli eterosessuali, si tratta di chiamare le cose con il loro nome.