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Salvare la dignità della vita

Autore:
Cottini, Giampaolo
Fonte:
CulturaCattolica.it ©



La nuova legge sulla procreazione assistita pone finalmente un punto fermo in un dibattito che si protraeva da tempo, spesso con toni inappropriati: non sarà la migliore delle leggi possibili, né tanto meno è una legge confessionalmente cattolica, ma offre qualche paletto a quello che è stato definito il Far West della procreazione medicalmente assistita (che non è esattamente una forma di riproduzione artificiale), garantendo anzitutto la dignità e i diritti di tutti i soggetti in gioco e in primo luogo il diritto del concepito ad esistere e a poter essere accolto come figlio.
Per questo suonano incomprensibili certi catastrofistici commenti su un presunto ritorno al Medio Evo, su una violenza fatta alle donne, sull'inammissibilità di limiti legislativi alla libertà di concepire a qualunque costo un figlio, così come appaiono inadeguate le critiche al diritto/dovere dello Stato di legiferare in materie come questa in cui in cui si pongono questioni etiche di assoluta rilevanza. Non è detto, cioè, che un intervento dello Stato in questi campi configuri per ciò stesso il rischio di un'indebita intromissione nella sfera della coscienza, ma anzi va riconosciuto il tentativo di provvedere ad un bene comune superiore anche attraverso il divieto di taluni comportamenti, purché ciò sia rispettoso del diritto naturale. Infatti, ogni legge permette qualcosa e vieta qualcos'altro, ma deve farlo rispettando il più possibile alcune evidenze razionali che possano essere riconosciute da ogni cittadino come appartenenti all'umano in quanto tale.
In questo caso la legge riconosce il desiderio di genitorialità della coppia eterosessuale (quella cioè in cui naturalmente è proprio la differenza a generare la vita), da realizzare con un intervento medico di fecondazione in casi di accertata sterilità non curabile in altro modo, proibendo però ogni pratica di fecondazione eterologa che, introducendo un fattore terzo estraneo alla coppia, non garantirebbe al concepito l'elementare diritto ad avere una chiara identità personale e parentale. In ciò non vi è nulla di oscurantistico, ma semmai il riconoscimento che la pratica medica deve aiutare e favorire ciò che in natura non riesce ad avvenire spontaneamente, non sostituire l'atto generativo che scaturisce dall'unione fisica dell'uomo e della donna. E in ciò la legge non nega programmaticamente il senso del generare come atto che non può dipendere solo dalla "volontà di potenza" dell'uomo, ma che richiama semmai il mistero della vita come gratuità.
Un secondo fattore è il diritto del concepito a nascere a seguito dell'impianto di non più di tre embrioni nell'utero, a garanzia non solo del diritto dell'embrione a non essere prodotto a scopo sperimentale, ma anche per favorire la possibilità del suo impiantarsi in modo da consentire il successo della gravidanza: con ciò si tutela che non vengano nemmeno ipotizzate pratiche di clonazione o che siano rese possibili situazioni di congelamento di embrioni da utilizzare magari anche dopo la morte del padre; al tempo stesso si garantiscono meglio i diritti del nascituro che è tutelato nella certezza della sua personale identità all'interno della vita della coppia genitoriale stabile. Questa indicazione di non impiantare più di tre embrioni contemporaneamente è peraltro suggerita anche da criteri che dimostrano scientificamente il reale rischio per la riuscita della gravidanza in caso si proceda con un maggior numero di embrioni (a meno che non si voglia ad un certo punto procedere alla selezione degli embrioni qualora più d'uno avesse possibilità reale di svilupparsi: ma ciò è peggiore di qualunque tipo di razzismo).
Un terzo elemento importante previsto dalla legge è costituito dal consenso informato, per dare alla coppia tutti gli elementi sulle procedure e sulle conseguenze, e fornire così le informazioni necessarie ad un giudizio irrevocabile sulla scelta, che richiede un alto livello di consapevolezza data la gravità dell'impegno generativo. Ciò è una garanzia della libertà intesa come responsabilità consapevole del gesto che si va a compiere, ed è segno che lo Stato mette a disposizione la propria struttura sanitaria secondo le modalità proprie di ogni atto che promuove la salute, chiamando sia il medico che il cittadino a rendersi conto del valore e delle conseguenze degli atti medici praticati.
Da ultimo l'assoluto divieto di sperimentazione sugli embrioni e l'obbligo di non distruggerli o congelarli (se non i casi gravi ed eccezionali) garantisce da abusi oggi possibili e non adeguatamente sanzionati, favorendo forse nel vissuto collettivo una visione meno strumentale della fecondazione artificiale: certamente il ricorso a tecniche estrinseche all'atto coniugale ha già in sé un elemento che rende problematica la generazione di un figlio, ma le garanzie che la legge offre aprono ad un'attenzione più significativa verso il bene comune, rimettendo al centro il significato obiettivo del venire al mondo al di là della legittima aspirazione dei genitori che non può essere il criterio unico ed ultimo del ricorso alla procreazione assistita.
Certo non si può dire che questa legge sia perfetta o in totale sintonia con tutti i punti della morale cattolica, ma ciò non toglie che possa svolgere perlomeno il benefico compito di limitare o evitare delle gravi ingiustizie che oggi possono essere compiute senza sanzioni e senza l'adeguato controllo dell'autorità sanitaria. Perciò nella coscienza della sua perfettibilità, questa legge non va demonizzata, né per la sua restrittività rispetto ad un concetto illuministico di libertà come assenza di vincoli, né per la sua inadeguatezza rispetto all'ideale cristiano di perfezione che conduce alla coscienza della vita come dono esclusivo di Dio: occorre, invece, pensare a quello che il cittadino guadagnerà realmente da questo provvedimento, in termini di civiltà giuridica e di salvaguardia della dignità di tutti i soggetti implicati, soprattutto del nascituro e del suo diritto a non essere in balia dell'arbitrio degli adulti.

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