Terrorismo: cosa pensano i giovani?
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Paura e senso d'impotenza. Queste mi sembrano le sensazioni dominanti tra i miei studenti. Paura, perché sentono tutti in modo inequivocabile che il terrorismo si avvicina sempre più a noi italiani: tra poco sarà anche "affare nostro", anche noi, forse, saremo alle prese con le distruzioni provocate da qualche grave attentato. La morsa della violenza si stringe intorno a noi: l'angoscia comincia ad essere palpabile. E solo questo argomento può scalfire quella che è la normale dimenticanza nella quale i giovani si trovano a vivere.
Senso d'impotenza, perché questa nuova logica del "mors tua, mors mea" lascia sgomenti e non si sa realmente che pesci prendere, da dove cominciare, di fronte ad un nemico tanto invisibile, efferato e disposto ad azzerare tutto. Dalle mie parti, per fortuna, l'ideologia pacifista non ha molto fascino: le manifestazioni "arcobaleno" sono diventate meno attraenti, perché, innanzi tutto, se ne percepisce l'utopia (a che serve gridare "pace" se poi c'è gente che dimostra chiaramente di volere la guerra?) e, secondariamente, la logica di parte ("non si può continuare ad andare a manifestazioni per la pace - commentava Martina - dove si finisce sempre per gridare contro Berlusconi e la riforma Moratti"). L'altro giorno Raisa, una giovane no global, simpaticissima e anche onesta nel suo fervore pacifista, è entrata in classe annunciando che ci sarebbe stata una manifestazione "da sballo" per la pace. Mi sembra che la promessa dello "sballo" non abbia dato i risultati sperati: la partecipazione è stata minore delle altre volte, e c'è da giurare che molti assenti siano semplicemente rimasti a casa a farsi l'ennesimo giorno di vacanza (il che significa sfruttare centinaia di poveri morti per godersi il proprio nulla).
Certo, se prima c'era una qualche disponibilità a costruire una cultura del dialogo, del rispetto, del tentativo di conoscere e comprendere il "diverso", ora tutto è diventato più difficile: perché dietro ogni extracomunitario potrebbe nascondersi un sanguinario terrorista di Al Qaeda. E comincia a passare con difficoltà la logica del "non si può fare di tutta l'erba un fascio", perché la realtà sta lì a smentirti: sembra veramente che tutti i musulmani siano in guerra contro di noi. Ed è fatale andare a mettere in evidenza ciò che ci divide da loro, piuttosto che ciò che ci unisce.
Insomma, la pace e la disponibilità a costruirla si è fatta più lontana, anche perché non si sa davvero come costruirla. Forse se ci fosse una ricetta facile facile, molti sarebbero disposti ad utilizzarla (il che, se può confortare per il desiderio di pace presente tra i giovani, può anche lasciare intravedere la disponibilità ad ogni compromesso pur di "essere lasciati in pace").
Alcuni studenti mostrano un certo attaccamento alla propria religione e ai suoi simboli ("Se mi toccano il Vaticano - dice Roberto - vado in guerra anch'io!"), che è un'istintiva rivendicazione di identità, simile a quella che si ebbe all'indomani dell'infelice uscita di Adel Smith a proposito del crocifisso.
E c'è infine una buona percentuale di studenti che sono troppo occupati appresso alle quattro cosette della loro vita per accorgersi di quello che sta accadendo (Augusto non sapeva bene quello che era successo anche a distanza di quattro o cinque giorni dall'accaduto!). La cosa ancora non li tocca e non se ne fanno un problema. Bisogna essere giovani, che cavolo! Bisogna "divertirsi"!