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Il paese silente

Fonte:
CulturaCattolica.it

L’esito dei referendum sulla procreazione assistita ha preso tutti in contropiede vincitori e vinti, a distanza di settimane i giornali oscillano ancora tra reazioni allarmistiche come quelle di Sergio Romano su Panorama: “Ora attenti ai cattolici tradizionalisti, cercheranno di sfruttare il successo per rivedere la legge sul divorzio” e riflessioni sui risultati, sempre su Panorama Bruno Vespa s’interroga: “avevamo previsto che non ci sarebbe stata una corsa al voto, pur non prevedendo certo il disastro che si sarebbe verificato (…). Quale insegnamento dobbiamo trarre da questo? Noi giornalisti dovremmo abbassare la cresta: scambiare il Palazzo con il Paese è un errore da bocciatura agli esami da praticante a professionista”.

L’allarmismo mi sembra una reazione che riconferma l’incapacità di guardare al paese reale.
Suvvia, non ci sono cattolici pronti a fare crociate contro leggi che oramai sono entrate a far parte del tessuto della società, non ci saranno richieste per l’abolizione del divorzio e nemmeno per l’abolizione della legge sull’aborto, certo si chiederà che in quest’ultimo caso, la legge sia applicata integralmente, perché, anche se molti l’hanno dimenticato, la Legge 194 è prima di tutti una legge a tutela della maternità. (L. 22 maggio 1978, n. 194 Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza.)

Ma allora cos’è accaduto? Perché un 75% d’astensioni?
Azzardo la mia ipotesi, c’è un paese silente, che vede cose che non gli piacciono ma non osa dirle, che teme di essere deriso, che non ama l’arroganza di chi sostiene che la libertà consista nel dare a tutti la possibilità per legge di soddisfare ogni desiderio.
Un paese che non si sente rappresentato per intero da nessun partito, anche se poi alle elezioni politiche esercita il diritto di voto.

Non solo pensionati del circolo delle bocce, ma anche impiegati, professionisti, piccoli artigiani, insegnanti e casalinghe che non si espongono, non ingaggiano discussioni pubbliche, ascoltano, tacciono, qualche volta annuiscono, altre scuotono la testa, ma giudicano.
E’ finita l’epoca della militanza, anche se qualcuno pare non essersene accorto, in preda alla “saudade”, alla nostalgia per i cortei e i collettivi d’autocoscienza.
Giusto o sbagliato è la società e ne va preso atto, una società individualista, che si sente senza portavoce, e che nell’astensione ha trovato il modo di dire la sua.

I giornali scrivono che l’On. Grillini chatta in internet, cerca amanti occasionali, ci va a letto e poi cambia partner, nessuno si schermisce, nessuno vuol passare per bacchettone, ma c’è un popolo silente che pensa che sarà pure un gay felice, ma si comporta come la peggiore delle cortigiane, non si può dire, perché la categoria degli omosessuali è “una minoranza protetta”, ma nessuno vieta ancora il libero pensiero.
Ci sono lesbiche che dichiarano di essere costrette ad andare all’estero per soddisfare il loro bisogno di maternità, i giornali riportano la notizia per sottolineare gli esiti nefasti dell’astensione referendaria, nessuno reagisce, ma il popolo del cappuccino, quello che legge il giornale in silenzio la mattina al bar, quello che fa la spola tra la casa, l’ufficio e l’asilo nido cosa ne pensa?
Che in fondo due donne hanno pure il diritto di volersi bene, facciano quello che vogliono nel privato delle loro case, ma un figlio non è del tutto normale che lo pretendano.
C’è gente che si guarda intorno e fatica a capire cosa sia la tolleranza, perché tollerare l’immigrato che abita nel paese accanto è lodevole, ma convivere con gli immigrati della porta accanto diventa più difficile, e allora si comincia a pensare che ftollerare è una parola che si coniuga con ignorare, subire, lasciar correre, ma non si può tollerare tutta la vita e ci si accorge che una volta non ci educavano alla tolleranza, quella no, ma all’accoglienza, che si coniuga con ospitalità, rispetto conoscenza delle diversità e allora ci si chiede chi educa più a questo?

In conclusione, c’è la gente che vuole essere ascoltata, ma è gente che parla poco, frequenta le feste dell’Unità e le “feste azzurre” con pari intensità, perché va dove si balla e ci si diverte, gente che frequenta le palestre ed è più attenta al fisico che allo spirito, ma comincia a chiedersi se non ci sia una disparità d’attenzione, gente che indossa la maglia del Che, ma non ricorda bene chi è stato o cosa ha fatto, gente che guarda i reality ma ha iniziato ad esserne nauseata, anche se non saprebbe dire cosa desidera vedere, gente che va in pellegrinaggio ai santuari e ha smesso da tempo di pensare che il Papa sia un vecchio prete che parla a vanvera, anzi ascolta e riconosce che sono parole antiche che parlano di ciò che chiede il cuore.
Un popolo variegato e difficilmente incasellabile, che intuisce che certe scelte epocali saranno anche state scelte di libertà, ma qualcosa non ha funzionato, perché i figli si separano con grande facilità, non sanno fare la minima fatica per riscoprire le ragioni della loro unione matrimoniale, “buttano” i figli non programmati senza troppi apparenti rimorsi e non puoi dir loro nulla “non mi ascoltavano quand’erano piccoli, figurarsi ora che sono sposati”, però questa gente comprende che non stiamo andando verso la “pura libertà” ma verso una libertà malata che è soggiogata dalla dittatura del desiderio “desidero quindi ne ho diritto” pare lo slogan preferito.
E’ tra questa gente che vanno cercati i “colpevoli” della debacle del SI, i futuri “ago della bilancia” le persone con cui riprendere i contatti, è finita l’era dei militanti, ma c’è molta gente che quando scopre tra chi “milita” qualcuno che esprime la loro voce, segue, ascolta, non si espone, ma c’è.

Il libro dell’economista britannico Richard Layard “Happiness: Lessons from a New Science”, pubblicato quest’anno da Allen Lane, svela come nelle società occidentali diventate più ricche in termini materiali, le persone non sono diventate altrettanto felici. La gente - che sia degli Stati Uniti, della Gran Bretagna o del Giappone - non è più felice di quanto non lo fosse 50 anni or sono, afferma Layard. E questo nonostante il fatto che il reddito medio sia più che raddoppiato, che andare in vacanza sia più frequente, che la settimana lavorativa sia più corta e che la gente viva più a lungo e goda di migliore salute.
La ricerca della felicità della soddisfazione del desiderio è divenuta individualismo, si è perduta l’idea di bene comune, la dimensione morale del vivere.

La realizzazione della propria felicità si è impostata la propria vita alla realizzazione dei propri desideri materiali, ci si sta accorgendo oggi che non è così, perché la felicità è fatta da fattori non in commercio, la fiducia nel prossimo, il sentirsi parte di una comunità, il sentirsi amati, compresi, voluti, stimati ed è di questa gente che il Palazzo dovrebbe interessarsi, perché la sorpresa referendaria potrebbe non essere l’ultima.

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