Condividi:

Noi non siamo in campagna elettorale

Autore:
Tornielli, Andrea
Fonte:
Il Giornale - 6.10.2005
Intervista al Vescovo Mons. Negri: "La Chiesa non vuole costruire uno Stato confessionale né attentare ai valori costituzionali, vuole soltanto far presente legittimamente la sua posizione"

«Premetto che non inten­do polemizzare con chicchessia né intervenire nel dibattito parlamentare. Fatico però a com­prendere come si possano fare certe affermazioni: La Chiesa non vuole costruire uno Stato confessionale né attentare ai va­lori costituzionali, vuole soltan­to far presente legittimamente la sua posizione». È sorpreso monsignor Luigi Negri, vescovo di San Marino-Montefeltro, per le parole molto dure pro­nunciate dal capogruppo Ds in Senato Gavino Angius, che ha parlato di «attacco al principio della laicità dello Stato», di «oscurantismo» e «repressione civile e culturale» che la Chiesa avrebbe operato con i suoi inter­venti degli ultimi giorni.

Angius ha criticato governo e maggioranza per la norma «che esenta la Chiesa dal paga­re l'Ici sui suoi immobili» an­che quelli adibiti a uso turisti­co o commerciale. Co­me risponde?

«Già la scorsa settima­na qualche giornale aveva sollevato la que­stione, con inesattez­ze fuorvianti. In real­tà l'esenzione dall'Ici è già definita per leg­ge fin dal 1992 e il recente de­creto non fa che confermarla: non viene "sottratto" o "scippa­to" alcunché agli enti locali, che non hanno mai percepito que­sta imposta...».

Di recente però la Cassazione aveva dato un'interpretazione restrittiva della norma...
«Infatti. Secondo la Cassazione l'esenzione dovrebbe esserci soltanto per gli immobili usati per le attività di religione o di culto. Il decreto legge si è limita­to a ribadire, invece, quanto già previsto dalla norma di tredici anni fa, vale a dire che anche le attività di assistenza, beneficen­za, istruzione, educazione e cul­tura svolte dagli enti ecclesiasti­ci, sono esenti dall'Ici.

Angius parla dell'esistenza di una «questione vaticana» da affrontare, ma dice che la «li­bera professione di una fede religiosa è e resta intangibi­le». Che cosa ne pensa?
«Osservo che il punto è il signifi­cato della professione di fede. Finché si tratta della professio­ne di un'opinione del tutto indi­viduale o che investe una di­mensione di carattere indivi­dualistico, tutto va bene perché con il suo manifestarsi non in­terloquisce con l'assetto vigen­te, sia esso ideologico, pragma­tico, relativista o scientista. Se invece la fede è l'appartenenza a un popolo e per la persona cre­dente diventa il criterio per affrontare i propri problemi per­sonali e sociali, allora la cultura dominante sente questo inter­vento come un'ingerenza. Mi preoccupa una concezione se­condo la quale i valori della li­bertà religiosa esistono solo se si coniugano come vuole la men­talità dominante».

Il senatore diessino ha detto che la Cei «sferra un attacco al principio costituzionale di laicità dello Stato» chiedendo agli elettori di non dare il loro voto ai candidati abortisti.
«Anche qui, mi sembra che ci sia della confusione. La Confe­renza episcopale italiana non c'entra nulla con queste affer­mazioni. Al Sinodo dei vescovi, durante l'ora serale di libera di­scussione, il Prefetto della Con­gregazione per la dottrina della fede, che è un arcivescovo statu­nitense, ha posto il problema chiedendo che venga dibattuto. Dove sta l'ingerenza?».

Non crede che l'invito a non vo­tare i politici favorevoli al­l'aborto abbia fatto scalpore perché letto alla luce della campagna elettorale italiana?
«Ma quell'affermazione, pro­nunciata a porte chiuse, duran­te un Sinodo, da un prelato del­la Curia romana, non ha nulla a che vedere con la campagna elettorale italiana. E poi mi stu­pisce che faccia scalpore un'idea espressa con chiarez­za, quasi che chi s'indigna vo­glia sottointendere che le uniche idee chiare ce le ha lui».

Ma chi vota un candidato abor­tista, commette peccato?
«Non sono convinto che si pos­sa affermare che di per sé un elettore commetta peccato vo­tando un candidato favorevole all'aborto: bisognerebbe valuta­re le motivazioni che l'hanno spinto a farlo. Ma certamente se devo seguire la mia fede e i suoi insegnamenti sull'insopprimibile valore e dignità della vi­ta umana, questo mi porterà a non scegliere il politico aborti­sta, mi sembra logico. Altra co­sa è il giudizio sull'atteggiamen­to del politico cattolico che s'im­pegni a promulgare leggi aborti­ste: la Congregazione per la dot­trina della fede, nel 2003, ha spiegato che la le­gittima autonomia della sfera politica non può essere confusa con un in­distinto plurali­smo nella scelta dei principi mora­li».

Angius accusa la Cei di voler costruire uno Stato confessio­nale, piegato alla morale esclu­siva della Chiesa, in contrasto con la Costituzione. Che cosa risponde?
«Semplicemente che non è co­sì. C'è una grande differenza tra l'imposizione e la proposta. La Chiesa propone la sua visio­ne e questo è un arricchimento per la società. Poi si discute e si decide nelle sedi opportune e con i metodi democratici».

Vai a "Ultime news"