Un aspetto della riforma federale
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Il cristiano non è soltanto quello della Messa domenicale o quotidiana e delle pratiche religiose: il vero seguace di Gesù è colui che vive con intensità il presente e tutte le circostanze della vita affrontandole alla luce dell’insegnamento del Maestro.
Quindi non è né giusto né morale che un seguace di Gesù si estranei dalla vita pubblica o politica privando i fratelli del proprio contributo originale che ha la sua radice profonda nella appartenenza riconosciuta al Creatore.
Questa la premessa necessaria per affrontare l’argomento particolarmente importante per la nostra Italia, che è appunto la cosiddetta “riforma federale”.
Io ritengo che sia necessario innanzitutto capire i termini della questione a partire da notizie attendibili e non da posizioni istintive e acriticamente contrarie a tutto e a tutti solo perché chi fa delle proposte ci è antipatico.
La vera moralità consiste infatti nel seguire ciò che è buono dovunque lo si possa incontrare e spesso troviamo del bene proprio laddove ci avevano urlato che c’era una “sentina di mali” concentrata.
Ultimamente da parte dei cattolici più responsabili si è riscontrato un certo disappunto per l’introduzione in alcune regioni della sperimentazione sulla pillola abortiva, la RU486 che si è rivelata mortale per diverse donne negli Stati Uniti dove viene utilizzata dal 2000 (e ci sono dei ripensamenti sulla sua “sicurezza” in rapporto alla salute fisica e alla vita delle donne che la usano).
Si è attaccato anche il nostro Ministro della salute perché sarebbe contrario a queste sperimentazioni e non si è detto, tra i cattolici, che la possibilità di decidere in fatto di salute compete attualmente, - prima della riforma costituzionale che sarà sottoposta a referendum -, alle singole regioni.
Ma vediamo cosa è successo.
L’unico pezzo di federalismo reale è entrato in vigore l’8 marzo del 2001 con soli 4 voti di maggioranza (quando il governo era in mano al centrosinistra) e consiste nella parziale modifica del titolo V della Costituzione. Tale modifica attribuiva alle Regioni anche le competenze relative all’organizzazione della sanità, senza peraltro fornire le necessarie risorse finanziarie: il che ha scatenato il contenzioso tra Stato e Regioni che è un tormentone senza fine.
Tale “federalismo” in atto ha permesso che alcune regioni decidessero la sperimentazione (sulla pelle delle donne) della RU486; ha permesso ad alcune regioni di introdurre una sorta di Pacs e di altre decisioni sulle quali lo Stato non poteva intervenire, perché dal 2001 erano diventate, con la devoluzione del centrosinistra, di competenza delle singole regioni stesse.
L’attuale riforma federale si prefigge tra l’altro di sanare questo tipo di iniziative estremamente pericolose per la salute della donna e per la famiglia, restituendo allo stato il diritto di decidere su alcune questioni di vitale importanza per tutti i cittadini e stabilendo in modo più chiaro le competenze proprie (dello stato) e quelle delle regioni.
Riassumendo:
Oggi, come stabilisce il testo attuale della Costituzione (articolo 117, terzo comma, quello sulle materie a legislazione concorrente), la sanità è tra le materie per le quali «spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato».
Da domani, una volta approvata col referendum di giugno la devolution (art. 39 del disegno di legge costituzionale), la «tutela della salute» esce dalle materie spettanti alle Regioni in fatto di legislazione per entrare in quelle a potestà legislativa esclusiva dello Stato. Alle Regioni resta la potestà legislativa in materia di «assistenza e organizzazione sanitaria».
Quindi, con la devolution da sottoporre a referendum, la legislazione in materia sanitaria apparterrà allo Stato (anche sulla sperimentazione della pillola abortiva), la parte organizzativa spetterà alle Regioni, e non ci sarà più differenziazione tra nord e sud, ma una maggiore responsabilizzazione degli amministratori regionali.