Un’Enciclica per l’uomo - voci a confronto a Monza
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Deus Caritas est, la prima enciclica di Papa Benedetto XVI era molto attesa e non si può certo dire che sia passata inosservata. In molti se ne sono occupati, anche se, come troppo spesso capita, a predominare sui media sono stati giudizi generati dalle aspettative proprie del commentatore e non dall'oggettivo contenuto. A promuovere un incontro a più voci a Monza mercoledì 22 marzo 2006 sono state due realtà che operano da tempo, anche se con prospettive e tecnologie diverse: il Centro Culturale Talamoni e Culturacattolica.it, un portale internet con sede a Brugherio coordinato da don Gabriele Mangiarotti, che da anni è punto di riferimento per informazioni e giudizi per moltissimi cattolici, e non solo. A coordinare l'incontro il direttore del Cittadino Luigi Losa, quasi a completare un ventaglio di tecniche e metodologie di comunicazione e, perché no?, di formazione. Losa introducendo l'incontro ha fatto notare come questa enciclica si differenziasse da quelle dei Pontefici precedenti per la sua agilità e per il linguaggio accessibile. "Spesso la prima enciclica di un Papa è considerata "programmatica" nel senso di dettare un percorso futuro. In questo caso ed all'origine dello stupore Benedetto XVI mette l'amore di Dio al centro di tutto - ha detto - E questo apre passaggi rilevanti nella attualità che stiamo attraversando. E i cristiani trovano risposte anche agli interrogativi ed alle provocazioni di questi giorni".
Il primo intervento è stato di don Luigi Ferè, rettore del collegio Arcivescovile di Gorla Minore, che ha esordito affermando che la prima enciclica di un pontificato tende sempre a tracciare una linea programmatica, ma in questo caso pone anche una questione di metodo molto importante che va subito al centro delle cose. "Il Papa non pone la questione del cosa fare ma del chi siamo noi." L'importanza del porre la questione dell'essere sta nell'avere come interlocutori tutti gli uomini. "Ogni uomo si pone la domanda: chi sono? E solo rispondendo a questa domanda si può capire cosa si deve fare" ha detto.
Fattore fondamentale nell'essenza dell'uomo è l'amore "L'uomo non può vivere senza amore. Rimane un essere incomprensibile anche per se stesso e la vita un susseguirsi di fatti senza senso se non gli viene rivelato l'amore. Il mistero dell'amore - ha detto ancora don Ferè - è una realtà profonda che l'uomo deve ricevere".
Don Ferè ha poi proseguito illustrando come il Papa risponde alle obiezioni che il mondo ha fatto, e fa, alla Chiesa su questo tema. E risponde riaffermando che il cristianesimo non è decisione etica, discorso o filosofia, ma avvenimento come per gli apostoli che incontrarono Cristo. E questo avvenimento rivive oggi, ogni giorno, nella Chiesa che fa incontrare Cristo oggi. Ultimo punto evidenziato da don Ferè è il pericolo della riduzione dell'amore a sentimento. "Il sentimento può essere come la scintilla iniziale - ha detto - ma non può essere o diventare la totalità dell'amore".
Diverso, ovviamente, l'affronto del prof. Luigi Trezzi, docente di Storia economica all'Università di Milano Bicocca, che si è soffermato sulla seconda parte del testo papale. "Troppo spesso soprattutto negli ultimi decenni si è vista una contraddizione fra carità e giustizia - ha esordito - al punto che un famoso teologo negli anni ottanta diede alle stampe un testo dal titolo "Carità o giustizia?" come se fossero antitetiche". L'origine di questa posizione era da ricercarsi nella breccia che il modo di pensare marxista aveva aperto nel pensiero cattolico e che portava a pensare che un atto di carità nasconda il bisogno di giustizia. In questo senso è dannoso e va evitato. Ma il Papa nell'enciclica dice che questa antitesi è falsa. La carità appartiene alla Chiesa, la giustizia è atto umano che appartiene all'universo della politica e quindi dello Stato. E aggiunge che per quanto lo Stato sia in grado di applicare la giustizia, non sarà mai in grado di rispondere a certi bisogni che solo la Carità può affrontare. "Perché la Carità è dono di se stessi, comprende la persona: non c'è atto di giustizia che eguagli la carità". Carità e giustizia quindi. Non può essere la Chiesa a costruire la società giusta, deve essere compito dei politici. Le coordinate per la politica sono raccolte nella Dottrina Sociale che "argomenta a partire dalla ragione e dal diritto naturale. Non dal catechismo" ha detto ancora Trezzi affermando poi che non ha senso sacrificare il presente per edificare una ipotetica società perfetta nel futuro. "E' inumano questo ed è anche il punto di dissenso radicale con le teorie marxiste ed utopiche".
Appassionato l'intervento di Fabio Cavallari, lavoratore ma anche collaboratore del settimanale Tempi e di Culturacattolica.it, che non ha nascosto di essere non credente e marxista. "Ho letto tutta l'enciclica e ho sentito che parlava a me. Non è un testo scritto per i soli credenti ma molto ricco per chiunque" ha esordito. Cavallari ha evidenziato come la situazione attuale veda l'uomo solo con se stesso e la tendenza è quello di ignorare l'altro purché non generi problemi. Un affronto umano ma profondo e vero evidenziante il bisogno dell'uomo di essere amato e la sofferenza della solitudine. Il desiderio di scoprire e vivere valori comuni e superare i limiti e le sofferenze generate da un modo scorretto di vedere l'altro e valorizzarlo. La libertà di scoprire la bontà di un'enciclica senza rinunciare alle cose e ai valori che hanno significato fino ad oggi la tua vita.