Quello strano comunista con il cuore libero
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Come ben raccontato su questo sito e su Il Cittadino da Gigi Brioschi, l'incontro di mercoledì 22 marzo sul tema dell'enciclica di Benedetto XVI "Deus Caritas est" è stato davvero un'occasione offerta a tutti di riflettere partendo dai temi dell'enciclica sulla nostra vita e sulla nostra idea di felicità e di carità.
Al termine della serata, la discussione è continuata mentre si camminava verso il parcheggio, in una delle prime serate che ci ha regalato un assaggio di primavera, si discuteva sulla capacità di questo Papa di parlare al cuore degli uomini, e su come la mancanza di pregiudizi ideologici permetta anche a un non credente, a un marxista come Fabio Cavallari di cogliere la grandezza di un messaggio che evidentemente parlando al cuore, parla a tutti gli uomini.
Diceva infatti il collaboratore di Tempi: "Può sembrare una provocazione che io sia qui, oggi, a parlarne: un po' un azzardo, una bizzarria. In realtà quando io ho letto l'Enciclica, la prima cosa che ho pensato è che era un testo che parlava a me" "a mio parere l'Enciclica non parla al credente, (…) secondo me, l'Enciclica parla al credente, al non credente, al cittadino, al politico; cioè in definitiva parla all'uomo, ma l'uomo inteso nell'accezione più grande, più feconda, più produttiva, a quell'individuo, a quel soggetto che in maniera naturale, in maniera insopprimibile ha bisogno, necessità, di dare e ricevere amore."
Ed ha ragione, l'enciclica parla a tutti, solo chi ha la ragione offuscata dal pregiudizio o dall'ideologia può pensare che si tratti di parole dirette ad un esclusivo e ristretto gruppo identificato con il nome di "credenti" e qui si apre una parentesi infinita, perché i credenti spesso il Papa non lo seguono, non lo ascoltano e non lo leggono.
Ditemi voi se c'è un uomo che non abbia "insopprimibile bisogno di dare e ricevere amore".
Diceva Cavallari: "Anche su questo concetto, amore, io sono rimasto affascinato sulla radicalità del termine, (…) radicale perché va al fondo del termine; e il concetto di amore non ne ha tanti di termini reali. Ne ha uno.
Io pur non essendo credente, sono contento, felice, del momento in cui concepisco o ricevo una verità e questa è una e inequivocabile. Il concetto di amore come donare sé all'altro, in maniera totale, è l'unico concetto che può essere espresso, l'unico concetto possibile. La realtà è che purtroppo tutti gli uomini, io compreso, e con grande parte della società moderna, probabilmente non si rende nemmeno più conto, non sa, questo amore che origine abbia, o dove prenderlo, come corrispondersi con questo concetto."
Cosa impedisce all'uomo di aspirare a questo tipo di amore "radicale", completo, a questo amore totale che si dona, prima di pretendere amore?
Io oserei dire, che ancora una volta è questione di EDUCAZIONE.
Siamo educati e quindi educhiamo, ad una parzializzazione dell'uomo, ad una vita che si spende "al risparmio" cercando di evitare le fatiche e i dolori e così, forse inconsapevolmente, finiamo per evitarci anche la pienezza della vita e le grandi gioie.
Da quando l'amore è stato scisso dalla sessualità, come se questa non fosse l'atto più intimo con cui ci si affida ad un altro, ma solamente una delle modalità con cui si ama, o con cui semplicemente si ricerca un piacere amoroso, l'amore è stato sempre più visto come un evento "fortunato" che capita a pochi.
Quanta gente si sposa oggi già con il pensiero "speriamo d'essere fortunati" come se un amore duraturo fosse il risultato del caso, di una serie fortuita e casuale di eventi.
Niente di più sbagliato, è frutto di un'educazione al dono di sé, di un bene che si desidera prima di tutto per l'altro e un amore siffatto, ha bisogno di Dio.
Di quello che sempre Cavallari raccontava, a proposito del suo amico e direttore di Tempi Amicone: "Amicone, Direttore di Tempi, parlando a 8 e mezzo, raccontava il suo rapporto con la moglie; parlava del matrimonio. Diceva che ovviamente nel corso degli anni, ha conosciuto persone, ne è stato affascinato, ma il rapporto che lo lega indissolubilmente a sua moglie è l'ideale. Il pensiero che sia e ci debba essere l'ideale, lui diceva l'ideale in Cristo, e l'amore possa reggere di fronte alla realtà, di fronte alle difficoltà, sia l'ideale: credo sia un concetto non solo affascinante, ma l'unico concetto possibile perché il concetto di amore regga alla prova dei fatti.
Allora darsi all'altro, quando sento Amicone che dice il motivo per cui regge il suo amore, è l'ideale nella fede in Cristo, un non credente, ovviamente ha delle difficoltà. Perché se non credo, essendo stato portato agli errori del socialismo reale, non posso che sentirmi dannato. Il punto è questo: nel momento in cui mi sento dannato, per fortuna, per lo meno ho avuto coscienza di me e nel momento che ho coscienza posso fermarmi e avere un appiglio e questo appiglio è, per forza di cose, nei confronti di un altro uomo. È vero che siamo in una situazione di difficoltà oggettiva nei confronti del concetto dell'amore, nei confronti del concetto dell'uomo con l'altro uomo".
Io credo che un non credente per forza di cose debba come dice Cavallari avere come appiglio un altro uomo, il dubbio è se due zoppi si possano sorreggere.
Mi spiego: l'amicizia è importante, fondamentale, ma l'affidarsi ad un altro uomo presuppone il fatto che non vi sia errore, che non vi sia quello che io da credente chiamo peccato.
Invece l'uomo, è "portatore sano di peccato", nel senso che sa cos'è il bene, ma spesso fa il male che non vuole, conosce l'amicizia, ma a volte al tradisce, cosa fa in modo che un rapporto d'amicizia, rimanga solido nonostante il peccato?
Il sapersi peccatori e il sapersi perdonati.
Concludeva il suo intervento Fabio: "Io non sono credente, nell'Enciclica si dice: chi ama Dio non può non amare suo fratello. Io amo mio fratello, non so se posso dire che io amo Dio. Sicuramente posso dire una cosa: io e altri tendiamo nei confronti dell'uomo e tendere nei confronti dell'uomo, ha qualcosa di sacro e posso dire che questo sacro unisce me e voi in maniera indissolubile".
Io non posso giudicare se e come Fabio sia capace di amare suo fratello, posso dire che io senza Dio, non ne sarei capace, che se non fossi attaccata a mio Padre, avrei uno sguardo diverso nei confronti dei miei figli, (avrei la pretesa che rispondano ai miei desideri), avrei uno sguardo diverso nei confronti di mio marito, perché finirei con il pretendere di essere amata, anziché amarlo, avrei un modo diverso di guardare ai miei amici, sarei portata a guardarne le mancanze i difetti e non la grandezza e la bellezza del nostro stare insieme, del nostro sostenerci nella fatica.
Io non so come fa Fabio e quelli che come lui dicendo di non avere bisogno di Dio, io nella mia fragilità senza Dio non potrei e nonostante Dio a volte il mio peccato prevale, distolgo lo sguardo da ciò che è bello e buono e cado nella lamentazione.