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Riflessioni dopo il voto

Autore:
Cavallari, Fabio
Fonte:
www.tempi.it
Pubblichiamo questa riflessione del nostro amico Fabio sul voto del 9/10 aprile. Al di là della retorica che ci stanca (e di cui daremo conto anche sul sito,perché non se ne può più...)

Il problema principale è non riconoscersi. Non individuare un'identità che ti dia la spinta a riconoscerti come parte del progetto. Quando si era più giovani, più ideologizzati, più incazzati, più sicuri che una weltanshauung esistesse nell'alveo delle possibilità, era tutto più semplice. Si partiva con i manifesti a fare gli attacchini e ci si divertiva, si litigava in piazza e si alzava boriosamente la voce con la scioltezza e la sicumera dei giusti. Non serviva dipanare il pensiero dagli oscuri e nebulosi buchi neri della storia. Non era necessario, credetemi. Quando le frasi scivolavano sull'onda dei diritti e "come fai a non capire?" diventava il pulpito degli dei, tutto lo assicuro era molto più facile. Disimpegnata potrei chiamare questa mia campagna elettorale. Non ho convinto i riottosi, ai colleghi di lavoro che mi dicevano "mi astengo" ho sorriso disincantato. Ma cosa dovevo dire? Spiegare le mie ragioni? Certo, ma avrebbero capito? Senza la retorica del regime, l'assolo sulla libertà negata, il pericolo per il declino non ci sarebbe stata partita, avrei dovuto spiegare la mia verità. Certo ho votato Bertinotti, perché c'era Bertinotti. Culto della personalità stalinista? E va bene chiamatela pure così. Ho votato per l'estetica del linguaggio, per la poesia delle immagini, per la dialettica raffinata. Sì lo confesso, ho votato Prc per la gestualità, la ricercatezza, la citazione, la moderazione salottiere, per la borghesizzazione proletaria dell'abbigliamento del Comandante. Ma come facevo a spiegare ad un "tessile" che era giusto votare Prodi, ma io volevo parlare de "La questione ebraica" di Marx, del Prof. Ratzinger e della sua prima Enciclica. Io volevo disquisire e scavare sino alla radice il concetto di "desiderio", il "Rischio educativo", il significato di "femminismo" e l'ossimoro della modernità, del nichilismo e della proprietà. Elitario e radical chic, anarchico e bastian contrario. Epiteti e aggettivi ripetutimi ossessivamente. Hanno rimbrottato: "Ma vuoi proprio far incazzare i compagni? Ma anche adesso? Ma anche oggi? E se vince Prodi non scendi in piazza?". Non sono sceso in piazza. Ma cosa dovevo sventolare, ma suvvia al limite una telefonata al compagno Fausto per farmi ripetere "resipiscenza", "solipsismo", "maieutica", "prometeico", "gli errori e gli orrori", "il postfodismo" e la "levatrice della storia". Ma cosa dovrei dire ai compagni in preda ad un orgasmo massificato e collettivo? Detesto l'amore di gruppo! Cedo al fascino del rapporto uniduale. Cedo al fascino delle parole di Ferrara che mi apre uno spiraglio per il pensiero, per la ragione, per la provocazione e per la sublime, somma, divina, eccelsa passione per la realtà. "[...] Qualcosa si può fare nel profondo, di quello che in superficie è impossibile. Si può, ragionare delle cose dimenticate, nude come sono e non più infeltrite, ispessite, dalle circostanze politiche. Si può continuare a provocare il regime culturale, essere generosi con la realtà delle cose nascosta dal nome improprio delle cose, pensare tipograficamente questo presente facile, pieno di diritti, storto per ciò che conta sul serio" (G. Ferrara - Il Foglio 10 aprile 2006).

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