Riparte il calcio, ma il problema non è risolto
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Diciamocelo, non è stata propriamente una radiosa giornata di sport.
Gli stadi vuoti hanno messo tristezza anche a una come me, che confonde Adriano con Ronaldo.
Sia chiaro, stiamo correndo ai ripari chiudendo la stalla dopo che i buoi sono fuggiti, telecamere, tornelli d’ingresso, vigilanza, certo, tutto concorre a mettere ordine, ma non basta, se non ci chiediamo da dove è partito questo disordine.
Cosa ha portato i figli di questa nostra Italia a trovare dei nemici contro i quali scagliarsi, anziché degli ideali per cui impegnare la vita?
Il calcio riparte con un minuto di silenzio su tutti i campi in memoria dell’ispettore capo di polizia Filippo Raciti, ma noi non siamo capaci nemmeno di questo, generalmente sui campi italiani il silenzio è coperto dagli applausi, sembra che proprio non si riesca a stare fermi e zitti e riflettere, nemmeno per un solo minuto.
Ma questa volta, qualcuno ha fatto di peggio, hanno voltato le spalle e si sono rifiutati di onorare la memoria del poliziotto ucciso, i loro fischi sono stati coperti dagli applausi e i commentatori si sono affrettati a dar loro degli imbecilli pochi e insignificanti.
Certo, ma anche pochi imbecilli devono far riflettere, perché sono il segno del degrado cui siamo arrivati.
L’onorevole Caruso (rif.com.) parlamentare e capo dei no-global, nei giorni successivi alla morte di Raciti ha dichiarato a Il Corriere della Sera: «Innanzitutto, occorre responsabilizzare i miliardari che gestiscono il mondo del calcio».
I presidenti delle società?
«Loro. Quelli che se la intendono con i capi
ultrà. Cominciamo a dire che ai capi ultrà non devono dare solo biglietti gratis e concedere l?allenatore più gradito, ma devono anche pagare i danni che loro, gli ultrà, provocano».
Ecco, diamo loro tutto quello che vogliono e se non basta, paghiamo i danni che provocano e se non basta giustifichiamoli dicendo che la colpa è della polizia “addestrata male” (è sempre Caruso che parla), o dei professori, o dei bidelli, o del datore di lavoro, la colpa è sempre degli altri, è il mondo che fa schifo, la loro idea di mondo è perfetta, ma gli altri non capiscono e allora distruggiamoli questi altri che non capiscono.
Non abbiamo saputo dare a questi giovani le ragioni per vivere, lottare, faticare, impegnarsi, per guardare a un domani migliore.
Non abbiamo saputo dire loro perché vale la pena di alzarsi il mattino, di lavorare con gusto, di faticare con il sorriso e loro si sono accontentati di una famiglia nella quale rimanere sino ai quarantanni, di videogame o serate in discoteca e quelli che non hanno lasciato assopire il loro desiderio che non si sono lasciati vivere, hanno saputo solo individuare nemici verso i quali indirizzare la loro rabbia, senza nemmeno accorgersi che quei nemici a volte hanno il volto dei loro padri.