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Birmania: “chi non crede in Dio, crede a tutto”

Fonte:
Il Giornale
“Chi non crede in Dio non è vero che non crede in niente perché comincia a credere a tutto.” Diceva il saggio Gilbert Keith Chesterton.

A leggere quanto riportato oggi da “Il Giornale” pare proprio che Chesterton avesse ragione.

Birmania: (…) Numeri, astri e fortuna, uniti a un visione dello Stato che ricalca perfettamente la Cina comunista di Mao, ed ecco l’ideologia che muove i «tiranni».
Un paese dalle immense risorse naturali - il pregiatissimo legno teak e il «sangue di piccione», la più preziosa varietà di rubino - è devastato dalla superstizione. Niente in Birmania accade se non viene prima deciso dalle stelle o se la numerologia non fornisce il responso desiderato.

Nel 1987 il sistema decimale fu abolito e si passò a quello basato sul numero 9. Tutte le operazioni bancarie iniziarono a essere effettuate con multipli o divisori di questa cifra. Anche il sistema monetario venne stravolto: la moneta da 100 kyat venne ritirata e furono introdotto quelle da 45 e da 90.

L’altro famoso cambiamento a cui dovette assistere il paese fu quello dei nomi delle località, per cui Birmania divenne Myanmar e Rangoon cambiò in Yangon. Anche in questo caso la superstizione giocò il suo ruolo. Ufficialmente il paese adottò la nuova denominazione il 18 giugno 1989. L’annuncio alla popolazione però fu fatto qualche settimana prima, il 27 maggio, perché il 2 e il 7 del giorno, sommati, danno 9. (...)

La Cina è un modello di riferimento per il regime birmano, superstizione compresa. Negli anni Novanta su richiesta del presidente Deng Xiaoping, parecchio scaramantico, il Partito comunista chiamò a Pechino il Panchen Lama, la seconda autorità del buddismo tibetano dopo il Dalai Lama, perché il leader cinese voleva un consigliere personale contro la malasorte.

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