Rorate coeli desuper
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“Ecco, vuota è questa mia vita; come abbandonato io mi sento, questa creatura fatta per un destino di gioia perfetta e di amore. Abbiamo ceduto al male, ci siamo complicati, siamo crollati come foglie d’autunno”. Questa poetica traduzione di un canto gregoriano del tempo di Avvento, Rorate, descrive perfettamente la nostra condizione di uomini postmoderni. Vuoti e complicati: abbiamo perso la semplicità del cuore e dello sguardo che consente di vedere la luce. Oggi il buio sembra calare sul mondo e sarebbe così se non ci fosse la voce della Chiesa. Essa è una luce per gli uomini che si trovano a vivere con impegno la propria ragione e la propria libertà, siano credenti o no. Esempio luminoso è stato l’Angelus dell’Immacolata. Con cuore accorato il papa ha rivolto il suo pensiero ai giovani, che rischiano di perdere la speranza, spesso orfani del vero amore, che riempie di significato e gioia la vita. Li ha definiti vittime della corruzione dell’amore operata da adulti senza scrupoli, che li attirano nei vicoli senza uscita del consumismo che promette felicità false e impossibili. Una visione menzognera dell’esistenza si è fatta strada nella mentalità comune e ha indotto a considerare trascurabili verità che costituiscono l’anima della tradizione umana, quindi cristiana. Aspetto drammatico di questa corruzione è la perdita del valore del corpo umano, tempio del Dio dell’amore. Chi vive il mondo della scuola sa che queste parole non sono esagerate, conosce il peso della tristezza che preme il cuore di fronte ad adolescenti che si muovono ignari di loro stessi, dimentichi di sé e della dignità della propria persona perché nessuno ha mai parlato loro della sacralità del corpo e della vita, profonda e insostituibile verità, l’unica che renda ragione del rispetto dovuto a se stessi e all’altro. La carica di speranza portata nel mondo dal cristianesimo, di cui Benedetto XVI, con l’enciclica Spe salvi, vuole renderci consapevoli, brilla nella figura di Maria, “madre splendente di bellezza”, Madre del bell’Amore, come l’ha definita Giovanni Paolo II. Guardare a Lei, non come “oggetto” di devozione, ma donna reale in carne e ossa, che ha attraversato le strade polverose della Palestina, che ha amato senza mai possedere chi amava, che ha saputo accettare l’invito dell’angelo perché attendeva, da buona ebrea, la manifestazione di Dio, rinnova il nostro sguardo. La vita acquista una profondità nuova, in essa si affaccia l’Eterno, non sconosciuto Mistero, ma Uomo che viene per salvarci. “Guarda, o Signore, l’angoscia del tuo popolo, manda colui che ci fai così aspettare. Mandaci quell’essere dolce e forte come dominatore, dalla bruma dell’orizzonte fallo comparire agli occhi ansiosi di questo mio e tuo essere, perché ci liberi lui dalla prigionia”. (Rorate)