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Riforma della giustizia

Autore:
Spinelli, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it

In questi giorni l’aula di Palazzo Madama sta discutendo il disegno di legge sul processo breve. A Montecitorio è prevista la discussione sul legittimo impedimento. Tra pochi giorni approderà al Senato anche la versione costituzionale di quel lodo Alfano già cassato dalla Consulta. Sullo sfondo rimangono le riforme istituzionali (su forma di governo e giustizia, riduzione del numero dei parlamentari, rafforzamento dell’esecutivo e senato federale, al quale si può aggiungere il progetto di legge sulla reintroduzione dell’immunità parlamentare, già sul tavolo parlamentare) che richiedono modifiche alla carta costituzionale e che dunque necessitano di una convergenza bipartisan.
Il premier Berlusconi, ancora oggi, è intervenuto premendo sull’acceleratore delle riforme: giustizia, istituzioni, ma anche fisco, con la previsione di sue sole aliquote. Un progetto complessivo ambizioso, una sorta di reformation day che potrebbe anche portare – almeno nelle intenzioni – alla fase conclusiva della ormai perenne transizione dalla prima alla seconda repubblica. Ma è anche un progetto realizzabile?
Nel consueto discorso di fine anno, il Presidente Napolitano ha affermato che le riforme istituzionali “non possono essere tenute ancora in sospeso” e “bloccate da un clima di sospetto tra le forze politiche”. Anche le diverse posizioni interne alla maggioranza paiono ricompattate, ed il minimo comun denominatore da cui partire, sembra essere la bozza Violante, ossia il disegno di legge di riforma costituzionale approvato dalla commissione affari costituzionali della Camera la scorsa legislatura, alla quale fa fatica a dire di no anche l’opposizione. Bersani si è detto disponibile a discutere di riforme, ma a condizione che non si invada il parlamento di provvedimenti “ad personam”.
Ma di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. A parte gli inevitabili ostacoli che si incontrano quando gli organismi istituzionali devono votare per modificare se stessi, vi sono ragioni storiche che non depongono a favore. Ero ancora giovane studente in giurisprudenza quando sembrava dovesse andare in porto la riforma presentata nel 1985 dalla commissione Bozzi. Non se ne fece nulla. Transitati nella seconda repubblica, il patto della crostata portò nel 1997 alla istituzione della commissione D’Alema che lavorò un anno e poi naufragò. Nella scorsa legislatura è stata la volta della bozza Violante. Un lungo iter di tentativi, legati peraltro da alcune modifiche riproposte nel tempo, come quella del rafforzamento dell’esecutivo. Ma l’ostacolo più evidente è dato dal fatto che non si è ancora entrati nel merito dei problemi e che probabilmente diverse saranno le soluzioni. E’ opportuno quindi partire da questa realtà politico-istituzionale, ed esserne consapevoli, per apprestarsi ad aggiornare la nostra carta costituzionale.
Per far questo, mi pare si possano indicare almeno tre condizioni. La prima è relativa proprio alla giustizia, le cui proposte di riforma vanno sia nella direzione di proporre modifiche sostanziali, come il diritto dei cittadini ad avere processi in tempi giusti e certi, che anche l’Europa richiede, oppure la separazione delle carriere dei giudici; sia in quella di arrestare i tempi processuali per i politici (sospensione dei processi, reintroduzione dell’immunità parlamentare, o più facilmente legittimo impedimento, una sorta di presunzione di impossibilità di partecipare ai processi da parte del premier in costanza di funzioni).
Una riforma della giustizia che non tenesse conto anche di questo secondo aspetto, riguardante il rapporto tra i poteri statali, naufragherebbe, essendo un condizione vitale posta dalla maggioranza.
Il processo breve rappresenta invece una modifica interna al potere giurisdizionale volta al suo miglioramento e mal si coordina con la norma transitoria che applica i termini anche ai processi in corso (ed anche al processo Mills in cui è coinvolto il Presidente del Consiglio). Anche a seguito dei corposi emendamenti avanzati oggi (che estendono il processo breve a tutti, eliminando la distinzione tra incensurati e non, e togliendo l’elenco dei reati sottratti, applicando invece termini diversi per reati puniti con una pena superiore o inferiore a 10 anni), rimane la clausola transitoria. Ma, una volta risolto diversamente il problema, probabilmente quest’ultima è destinata a cadere.
Una seconda condizione per le riforme coinvolge l’opposizione, affinché non prevalga quella parte di essa che considera il premier non legittimato a governare e con il quale nessuna riforma dovrebbe avviarsi.
Una terza condizione riguarda la maggioranza e la sua capacità di rimanere entro una cornice di riforme condivise e non di approssimativo stravolgimento (come la provocatoria modifica dell’art. 1 Cost. da parte del ministro Brunetta), senza tentare forzature od operazioni ideologiche che costringerebbero l’ordinamento entro formule non adeguate o esorbitanti.

Avv. Stefano Spinelli

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