«Sentieri interrotti»? No, un confronto con Odifreddi che continua
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15 gennaio 2010
Caro Prof. Odifreddi,
scusi il ritardo con cui le rispondo, ma gli impegni di questi giorni mi hanno trattenuto, per cui sono riuscito a scrivere a mano, ma non a copiare sul Mac.
Nel nostro confronto abbiamo potuto comunicare senza offenderci, cosa che in questi tempi mi pare merce rara. Seguo pochissimo la TV, ma a volte vedere un modo di comunicare che non ha nulla di ragionevole francamente mi disgusta, e credo che sia utile mostrare anche ai giovani (sono insegnante, e anche lei) che ci si può confrontare senza urlare e senza offendersi: mi pare un buon segnale.
Da un po’ di tempo guardo i post del sito dell’UAAR, e i rimandi alle varie pagine: mi pare che ci sia una grave sproporzione tra le notizie (forse discutibile il taglio, ma – almeno nelle «ultimissime» – attento a quello che accade, «informativo»), e i commenti. È vero che non sono moderati, almeno penso, ma un po’ di buon gusto, di rispetto e di intelligenza non guasterebbe. Lei, che è presidente onorario, si faccia sentire, la prego. Si può dissentire e discutere senza disonorare, con quel disprezzo e quella boria che sono segno non della forza delle ragioni, ma di ragioni della forza che non riesce a convincere.
Le ho già detto che non credo ai «sentieri interrotti»: ho imparato da mio padre il rispetto per l’avversario (che non ho mai considerato nemico) e l’accoglienza di chi pensa diversamente da me, senza avere per questo bisogno di cedere su quello in cui credo. La verità è una grande conquista, e merita spendere tempo per cercarla ed onorarla. Non so se la si può «possedere», e soprattutto gestire come fosse una bandiera (questo mi pare il limite di ogni fanatismo), ma certo la si può cercare, incontrare, comunicare, onorare, testimoniare. È il bello della vita!
E il dialogo è ciò che rende possibile un cammino tra uomini. A me pare che il dialogo abbia almeno due caratteristiche fondamentali: da un lato chiede di mettersi in qualche modo nei panni dell’altro, per capire a fondo le sue ragioni, senza attribuire all’altro pensieri che non ha, o interpretazioni che non danno ragione della sua posizione, che sono utili scorciatoie per chi vuole «vincere», ma che non aiutano a capirsi. Dall’altro un dialogo autentico non è preoccupato di «vincere» o di piegare l’altro, ma di una verità che è sempre più grande. A me ha sempre fatto impressione il modo in cui Gesù parlava e trattava gli avversari, che a volte avevano un solo intendimento, quello di «farlo fuori»: indicava sempre una strada che non umiliava l’altro, lasciandogli sempre una via d’uscita. Pensi, se lo conosce e lo ricorda, al caso dell’adultera, o al tributo… a me piacerebbe incontrare persone così, libere di fronte all’esito, che non usavano la verità come una clava, ma come suggerimento per andare avanti. Forse posso usare la parola «amore» per descrivere questo atteggiamento, amore alla persona, al suo volto, a quello che si può chiamare, senza fraintendimenti, al suo «destino».
Due brevi osservazioni sulle sue parole.
Ho iniziato – non ho un tempo «infinito» – a leggere il suo libro «La Via lattea», e mi ha colpito una sua osservazione. È vero che attraverso la scienza l’uomo cerca “certe” verità, che, se pur parziali, sono qualcosa di certo, consistente, potremmo dire “universale”. Ma mi pare che l’uomo, la sua ragione non riesca a fermarsi e – come ricorda Kant – non possa non porsi problemi e domande che la superano in continuazione. [Come ho letto in un bell’articolo pubblicato sul mio sito: «Per comprendere questa nuova impostazione delle possibilità e dei limiti della facoltà razionale, che comporta una conseguente revisione delle possibilità e dei limiti dell’azione umana nella storia, occorre esaminare l’inizio della prefazione alla prima edizione della Critica della ragion pura, l’opera fondamentale di Kant:
«La ragione umana, in una specie delle sue conoscenze, ha il destino particolare di essere tormentata da problemi che non può evitare, perché le son posti dalla natura della stessa ragione, ma dei quali non può trovare la soluzione, perché oltrepassano ogni potere della ragione umana».
Kant parla qui di un «destino particolare» della ragione, del suo essere «tormentata da problemi che non può evitare», e questa immagine di una ragione tormentata è ben diversa dalla certezza della ragione illuministica e della ragione rivoluzionaria, l’una e l’altra più disposte ad imporre al mondo i loro criteri che a riflettere sulle loro insufficienze strutturali. Ancora, il testo kantiano sottolinea che i «problemi» non sono posti alla ragione da altri che da sé medesima («le sono posti dalla natura della stessa ragione») e che sono irresolubili perché «oltrepassano ogni potere della ragione umana».»]
La seconda osservazione riguarda i documenti citati del Magistero, sia la Fides et ratio che la Humani Generis: se letti integralmente, superando la tentazione di citarne un solo frammento, aprono, mi pare, e non chiudono la ricerca dell’uomo. E soprattutto aiutano a superare quella hybris, quello strano orgoglio della ragione che, se sfocia in quello che è stato chiamato «tecno-scientismo» si ritorce gravemente contro l’uomo. E in più chiedono alla ragione di essere tale, senza rifugiarsi in facili certezze, né accontentarsi di semplici scorciatoie (il «povero» Card. Bellarmino diceva, a proposito di Galileo – che ho imparato ad amare guardando mio papà, Presidente diocesano di Azione Cattolica in anni passati – “io non crederò che ci sia tal dimostrazione, fin che non mi sia mostrata”; e “quando ci fusse vera demonstratione... allora bisogneria andare con molta consideratione in esplicar le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo, che dire che sia falso quello che si dimostra”).
Caro «professore onnipresente» (e lo dico con simpatia, perché mi piace incontrare persone che vogliono essere presenti dove altri uomini discutono, dialogano, si trovano…), non intendevo, né intendo darle alcuna lezione. Mi piace – avendo incontrato qualcosa di cui sono lieto e fiero – metterlo a confronto e condividerlo con chi ha voluto prendere in considerazione quello che ho scritto su di lui.
Forse le sembrerà strano, ma ho anche pregato per lei. Augurandole di trovare la verità che il suo cuore desidera.
Don Gabriele Mangiarotti
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Caro don Gabriele,
per evitare di incorrere di nuovo nelle accuse di “portare poche ipotesi e una dimostrazione fortemente lacunosa”, non esporrò nessuna tesi e mi limiterò a citare due testi, dai quali lei e i suoi lettori potrete dedurre quello che preferite:
1) dal n. 54 dell’enciclica “Fides et ratio” di Giovanni Paolo II: “anche nel nostro secolo il magistero è ritornato più volte sull’argomento, mettendo in guardia contro la tentazione razionalistica.” [...] “il Papa Pio XII fece sentire la sua voce quando, nella lettera enciclica “Humani Generis”, mise in guardia contro le interpretazioni erronee, collegate con le tesi dell’evoluzionismo, ecc.”
2) dalla citata enciclica “Humani Generis” di Pio XII: “i fedeli non possono abbracciare quell’opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l’insieme di molti progenitori”.
A proposito di Galileo mi limito invece a citare il fatto che un cardinale morto nel 1621 può benissimo essere considerato “il diabolico regista” della proibizione del copernicanesimo, avvenuta nel 1616, la disobbedienza della quale costituì l’atto di accusa del processo a Galileo nel 1633.
Cordialmente
pgo