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Non abbiamo paura di Internet

Fonte:
CulturaCattolica.it

Da veterano nella rete

Da tanto tempo mi occupo di Internet, e posso dire di essere un «veterano» della rete, essendo presente con un sito in Internet dal 1995: allora eravamo in pochi, e per lo più presi un po’ come «fissati», guardati con un po’ di compassione delle persone che ci scoprivano «in rete».
Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata! Di esperienze, incontri, approfondimenti, relazioni si è riempita la vita, e anche la Chiesa indica questo strumento come occasione favorevole per la propria presenza e missione.
Ci sono certamente alcune tappe significative, la più incidente è stata il messaggio di Giovanni Paolo II, quando ha affermato con forza che «Internet permette a miliardi di immagini di apparire su milioni di schermi in tutto il mondo. Da questa galassia di immagini e suoni, emergerà il volto di Cristo? Si udirà la sua voce? Perché solo quando si vedrà il Suo Volto e si udirà la Sua voce, il mondo conoscerà la “buona notizia” della nostra redenzione. Questo è il fine dell’evangelizzazione e questo farà di Internet uno spazio umano autentico, perché se non c’è spazio per Cristo, non c’è spazio per l’uomo.»
Nel cammino intrapreso anni fa c’era un desiderio e una consapevolezza: il desiderio di poter usare qualsiasi strumento per comunicare ciò che di più caro ho nella vita, con la preoccupazione di essere fedele al carisma di chi mi aveva educato alla fede come un avvenimento capace di dare ragioni alla vita, e la certezza, imparata da mio padre, che un soggetto con una chiara identità può usare ogni cosa, e renderla adatta allo scopo prefissato. Cioè, ritengo che tutto sia utile per il vangelo (penso alla frase di S. Agostino, nel passato tante volte citata: «etiam peccata»).

Da «cattolici» nella rete

In questi anni, vivendo da protagonista in questo mondo, e avendo creato con alcuni amici il sito CulturaCattolica.it, che ha oramai una sua discreta visibilità, mi pare che alcune questioni si siano chiarite, e possano essere patrimonio comune. In uno dei primi incontri alla CEI si discuteva sul come rendere sicura la denominazione cattolica di un sito. Già allora avevo chiaro, e il tempo mi pare lo confermi sempre più, che la cattolicità di un sito non sta primariamente in una sua caratteristica previa (quasi si potesse certificare con un cartellino, una sigla, un imprimatur valido una volta per tutte). Non è carta stampata, e vi si può scrivere in ogni momento, e l’urgenza dei temi non consente un accordo sui contenuti. La cattolicità in antico era garantita dai nessi, dai legami, e in più era una caratteristica in azione. Le controversie cristologiche ne sono l’esempio: si era nella ortodossia perché si avevano certi legami, e si era ortodossi perché si cercava di affermare quanto la suprema autorità affermava. Ma soprattutto era il popolo di Dio che era in qualche modo garante. Un sito è cattolico in azione, e chi è cattolico lo riconosce (ma anche chi non lo è: penso alla recente polemica-dialogo con Odifreddi, in cui un confronto è stato possibile proprio per questa cattolicità in azione).

Nessun sito è un’isola

C’è un’altra caratteristica di questo mondo digitale che l’esperienza mi ha fatto comprendere, e che vedo non tutti gli operatori in questo mondo hanno compreso. Un sito non è autoreferenziale, e non è un’isola. La logica di questo mondo non è quella della carta stampata, dove, per vendere, devi in qualche modo battere la concorrenza. Qui quanti più legami (si chiamano anche Link) hai, tanto più sei conosciuto. Ho sempre sostenuto che questa sia proprio «una rete di rapporti», e credo che questo sia importante per far vivere lo strumento in maniera dinamica (a questo proposito, non è buona cosa pensare di essere un orizzonte autoreferenziale, che si concepisca come certi oratori vecchio stampo che si ponevano come orizzonte esaustivo della esperienza degli ospiti. Col rischio, ora come allora, che la vita “di fuori” diventasse, perché non giudicata, più attraente e persuasiva dei propri contenuti). Pensando al modo cattolico di vivere, credo che quanto più la rete diventa spazio per intreccio di legami, tanto più la possibilità di ricostruire quella che Giovanni Paolo II chiamava civiltà della verità e dell’amore diventi speranza di novità e di umanità e di bellezza per tutti.

Dietro c’è sempre un uomo

Un’ultima osservazione, rispetto alle tante che questo mondo e questi strumenti digitali suggeriscono. Ho letto tempo fa un interessante libro (Confessioni di un eretico hi-tech, di cui riporto in fondo uno tra i tanti commenti che si trovano in Internet) la cui conclusione mi è parsa straordinaria: non pensiamo che l’avventura della educazione dell’uomo accada per l’uso di strumenti tecnici. Gli strumenti sono sempre e solo strumenti, hanno bisogno di un soggetto per funzionare in una certa maniera. Se la rete è rete di rapporti, bisogna far sì che non si sostituisca a rapporti, ma li renda possibili, in maniera però che siano fecondi e non distruttivi (sono tanti i casi purtroppo in questa direzione). Bisognerà una volta o l’altra imparare a giudicare in questa ottica gli strumenti del social network, in primis Facebook. Sono affascinanti, certamente, ma non privi di pericoli, se diventano, da strumenti, orizzonte.

Nota

«I manifesti pubblicitari celebrano l’avvento della nuova era di Internet, dell’educazione in rete e dei distance learning, ma non tutti ci credono. Tra questi l’autore di Confessioni di un eretico high-tech, un libro contro corrente pubblicato recentemente da Garzanti.
Clifford Stoll, che di professione fa l’astronomo, usa abitualmente i computer. Li sa programmare. Vive con loro. Quindi non può essere accusato di un’arcadica tecnofobia quando avverte che siamo pericolosamente avviati verso un mondo fatto di macchine intelligenti e di persone stupide. Si considera un eretico e la sua eresia è ben documentata e scritta con stile semplice e disinvolto.
Il suo primo bersaglio è la nuova scuola, nella quale si auspica un computer in ogni classe o, peggio, su ogni banco. Inorridisce all’equazione apprendimento uguale divertimento, alla depauperizzazione del rapporto con l’insegnante in carne e ossa - e qui lancia anatemi contro il distance learning - al mettersi in relazione, dalla prima infanzia, con uno schermo fatto di pixel piuttosto che con una collettività fatta di coetanei.
“Chi insegnerà ai nostri ragazzi il linguaggio (quello vero, non quello di word) quando sarà ormai troppo tardi? Chi spiegherà loro che cosa sono la logica e la matematica, quando avranno ormai acquisito che i problemi forse, si risolvono schiacciando un tasto? Come faranno a conoscersi e a incontrarsi, usciti da una chat room? E come la mettiamo col senso critico, con l’ironia?”
Stoll ce l’ha a morte con le biblioteche informatizzate e con chi considera morta la carta stampata.
“Il libro è più duraturo (non diventa buono per la discarica dopo cinque anni), più portatile, più economico di un lap-top”.
Considera il World Wide Web come il McDonald’s dell’informazione.
“Come gli hamburger, è veloce ed economico. Ma la qualità? Quanto al food, chi lo vuole, va in un buon ristorante. Se invece stiamo parlando di soul food, ovvero di conoscenza, andiamo a cercare (faticosamente, in una biblioteca che ormai è soltanto on line) un caro, vecchio libro”.»

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