Processo breve: fare chiarezza
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Correva l’anno 1764. La tipografia Coltellini di Livorno pubblicava per la UTET un libello anonimo titolato “Dei Delitti e delle Pene”: “si dovette segretamente farlo stampare in Livorno – ricorda il Verri – e, quasi fosse un’azione criminosa, si dovette badare di non lasciarne venire a Milano esemplari”. Solo più tardi venne svelato il mistero: “il libro è del marchese Beccaria”. La questione dell’anonimato ha dell’incredibile, dal momento che l’autore svolgeva considerazioni del tutto ovvie oggi, ma evidentemente rivoluzionarie per quei tempi (di assolutismo monarchico), scagliandosi, al lume della ragione, contro i metodi di tortura e contro la pena di morte.
Ma non solo. Si cita: “quanto la pena sarà più pronta, e più vicina al delitto commesso, ella sarà tanto più giusta, e tanto più utile. Dico più giusta… perché la privazione della libertà, essendo una pena, essa non può precedere la sentenza, se non quanto la necessità lo chiede. La carcere è dunque la semplice custodia d’un Cittadino, finché sia giudicato reo, e questa custodia essendo essenzialmente penosa, deve durare il minor tempo possibile, e dev’essere meno dura, che si possa. Il minor tempo deve essere misurato e dalla necessaria durazione del Processo, e dall’anzianità di chi prima ha un diritto d’essere giudicato. La strettezza della carcere non può essere, che la necessaria, o per impedire la fuga, o per non occultare le prove dei delitti. Il Processo medesimo dev’essere finito nel più breve tempo possibile”.
Corre l’anno 2010. Vige la democrazia. La tortura è considerata un abominio. La pena di morte non c’è più. Il processo è ancora lunghissimo.
Lo Stato italiano è condannato a pagare dalla Corte Europea sui diritti dell’uomo, ogni anno, svariati milioni di euro (13,6 nel primo semestre del 2009) per l’eccessiva durata dei processi. Solo pochi giorni fa (il 20 gennaio) è stata approvata dal Senato la proposta di legge che va sotto il nome di “processo breve”, che si divide sostanzialmente in due parti: una generale riguardante tutte le tipologie processuali, civile, penale e amministrativa; l’altra specifica, concernente il solo processo penale e la sua estinzione.
Nella prima parte, si modifica la legge Pinto che contiene misure per razionalizzare le procedure di equo indennizzo nei casi in cui venga violato il diritto alla ragionevole durata del processo. Sinora, infatti, la legge non conteneva termini di durata dei processi, non fissava cioè alcun periodo temporale entro il quale essi potessero considerarsi giusti. Parlava di “mancato rispetto del termine ragionevole”. Ma la ragionevolezza della durata era lasciata alla discrezione giudiziale e soprattutto rilevava ai soli fini dell’indennizzo, senza incidere sulla durata effettiva dei processi.
L’odierna proposta, invece, definisce cosa debba intendersi per processo ragionevole: quello che “non eccede la durata di due anni” per grado di giudizio (termine che può essere aumentato fino alla metà dal giudice). In caso di giudizio troppo lungo, poi, affinché possa farsi luogo all’integrale indennizzo, la parte deve farsi parte diligente (e l’avvocato che la difende ancora di più). Nell’ultimo semestre anteriore alla scadenza di ciascun termine essa deve presentare al giudice una richiesta di sollecita definizione della causa. Infatti, verrà presa in considerazione la domanda di equo indennizzo limitatamente al periodo successivo alla presentazione di detta previa istanza.
Contestualmente, a decorrere da quest’ultima, i processi sono inseriti in una “corsia privilegiata” che obbliga gli uffici giudiziari ad accelerare la decisione. In tal modo, il meccanismo assume una funzione non solo risarcitoria, ma anche acceleratoria del giudizio.
La seconda parte della proposta di legge prevede che, in caso di violazione dei termini di ragionevole durata, il processo penale (al quale è stato affiancato anche quello di responsabilità davanti alla Corte dei Conti) si estingua. In particolare, la norma si applica ai “processi relativi a reati per i quali è prevista una pena pecuniaria o detentiva inferiore nel massimo a dieci anni” ed il meccanismo prevede diversi step: 3 anni per il primo grado; 2 anni per l’appello; un anno e sei mesi per la decisione di legittimità della Cassazione; se quest’ultima annulla con rinvio ai giudici di merito, un anno per gli ulteriori rinvii. E’ stata quindi elevata la durata massima del processo penale, rispetto alla originaria formulazione, che prevedeva un tetto di sei anni; mentre si è tolta la distinzione tra incensurati e delinquenti abituali e la elencazione che sindacava, tra le singole ipotesi delittuose, quelle più gravi escluse dai termini estintivi.
Si sono anche previsti termini ulteriormente dilatati per i processi riguardanti reati puniti con oltre 10 anni di carcere e, a discrezione dei giudici, per quelli particolarmente complessi o con un elevato numero di imputati.
Come si vede il limitato dibattito politico e mass-mediale (sulla sola estinzione del processo penale) non esaurisce la questione del processo breve.
Avv. Stefano Spinelli