Siamo tutti cristiani di Anatolia
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Il racconto della passione di Gesù risuona potente attraverso le maestose navate del duomo di Milano. Passione secondo Luca, poi, secondo Matteo, il Vangelo è la Passione secondo Giovanni. Si trattiene il fiato a quelle parole, si percepisce lo spessore del dono della fede e dell’adesione libera, senza calcolo, chiesta a ciascuno. Sono riferite a un uomo di Dio, cui è stata strappata violentemente la vita, Mons. Luigi Padovese, vicario apostolico in Anatolia. La morte di un martire è immediatamente associata al sacrificio di Cristo e il dolore per la sua morte fa partecipare del dolore salvifico di Cristo. Il martirio regala la beatitudine, senza bisogno del miracolo. È tutto lì, nel dono di sé, totale, definitivo, offerto per amore, come l’evangelico chicco di grano che muore per portare frutto. La cattedrale è gremita di fedeli, tanti giovani, soprattutto universitari. L’ampio presbiterio non basta per contenere i 350 concelebranti raccolti per salutare uno di loro, sacerdote e vescovo, francescano, martire in Anatolia, la terra che, come lo stesso Mons. Padovese aveva ricordato ai suoi fedeli, ha avuto il maggior numero di martiri fra quelle di antica tradizione cristiana. Alla piccola e fragile Chiesa in Turchia, ha dato voce Mons. Franceschini, vescovo di Smirne. Ha chiesto non solo preghiere, ma vocazioni. “Venite ad aiutarci a vivere, semplicemente”. Il suo appello, carico della consapevolezza di chi conosce la fatica e l’oggettiva limitazione cui i cristiani sono sottoposti, sveglia la nostra tiepidezza. Di fronte a quella bara, torna alla mente l’accorata denuncia dell’onorevole Mario Mauro: “è un’usanza consolidata in tutto il mondo quella di uccidere i cristiani per destabilizzare una comunità. Accade in Iraq come in Pakistan, Indonesia, Egitto o Somalia. In tutti i continenti, a qualunque latitudine”. La comunità internazionale può continuare a tacere? Mentre la Chiesa prosegue la sua opera di pace e di riconciliazione, la politica deve trovare una sua strada per la difesa delle minoranze religiose. In visita a Cipro, “tradizionalmente considerata parte della Terra Santa”, il pensiero del Papa si è rivolto ai “molti sacerdoti e religiosi del Medio Oriente che stanno sperimentando in questi momenti una particolare chiamata a conformare le proprie vite al mistero della croce del Signore”. Abbiamo più volte parlato dell’esodo dei cristiani dal Medio Oriente. Chi resta è un potente segno di speranza. Ma occorre “la promozione della verità morale nel mondo della politica e della diplomazia a livello nazionale e internazionale”, che il Papa ha sintetizzato in 3 vie. Agire in modo responsabile sulla base della conoscenza dei fatti reali”. Identificare le ingiustizie e valutare correttamente. Quindi, togliere fondamento alle “ideologie politiche che altrimenti soppianterebbero la verità”. Pensiamo ai milioni di morti prodotti dalle ideologie del XX secolo, in disprezzo alla verità e alla dignità umana. “Anche ai giorni nostri, siamo testimoni di tentativi di promuovere pseudovalori con il pretesto dello sviluppo e dei diritti umani”. Il richiamo è all’intenzione di snaturare la famiglia, di assurgere a diritto un interesse particolare. Infine, il riferimento alla legge naturale, quel patrimonio di diritti-doveri che ogni uomo porta in sé e che la ragione riconosce, ma che oggi non è più considerata “evidente in sé”, nonostante sia l’unica strada per riconoscere “verità morali oggettive”. È una cultura che occorre diffondere e un impegno da assumere anche davanti alla morte di Mons. Padovese: “oggi siamo tutti cristiani della Chiesa di Anatolia”.