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“Il mistero del processo”

Autore:
Spinelli, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it

Il mistero del processo”. È un piccolo ma interessante libello di Salvatore Satta (uno dei nostri padri giuristi), da cui cito: “Ma il processo? Ha il processo uno scopo? Non si dica, per carità, che lo scopo è l’attuazione della legge, o la difesa del diritto soggettivo, o la punizione del reo, e nemmeno la giustizia o la ricerca della verità: se ciò fosse vero sarebbe assolutamente incomprensibile la sentenza ingiusta, e la stessa forza del giudicato, che copre, assai più che la terra, gli errori dei giudici”.
Parole certo sconfortanti, ed alle quali si potrebbe ribattere che compito del processo è quanto meno il tentativo della ricerca della verità. Esse mettono ben in evidenza, tuttavia, un fatto vero, ossia che la giustizia umana (di cui è capace l’uomo) è la giustizia processuale, quella risultante dal processo e dalle forme e regole in cui esso si sostanzia.
Ora, se già è difficile rendere (e ricevere) una giustizia, la più giusta possibile, con gli strumenti umani che abbiamo, si immagini quale abisso di ingiustizia celi il fatto di prescindere addirittura dalle regole del processo e di sentenziare senza e prima di esso.
La nostra società pare si sia abituata a questa preventiva condanna mediatica (la cosiddetta gogna) legittimata di solito con il diritto di essere informati.
Non è un caso che nel dibattito sorto intorno al disegno di legge governativo sulle intercettazioni (attualmente all’esame della Commissione della Camera), volto a limitarne l’uso e l’abuso, si mettano in contrapposizione e si cerchi il bilanciamento tra l’art. 15 e l’art. 21 della Costituzione, ossia tra il diritto alla privacy e quello alla libertà di informazione e di stampa.
In realtà, si ritiene che la questione sia ancora più importante e riguardi non solo la tutela della riservatezza delle persone, quanto il principio di presunzione di innocenza sancito nell’art. 27 della Costituzione: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
Ora, il meccanismo delle intercettazioni (che sono un mezzo di prova “aperto”, ossia non circoscritto al fatto specifico, coinvolgendo altre persone, oltre l’indagato, ed episodi di vita personale e comunque non riguardanti l’indagine), unite alla loro diffusione mass-mediatica incontrollata e incontrollabile (nonostante le regole ed i divieti che già ci sono), porta al risultato contrario all’ordinamento di una sentenza già scritta per colui che finisce intercettato sui giornali. Alla fine, non si riesce più a distinguere cosa sia pubblicato come dato certo oppure ancora da appurare, cosa sia reato oppure notizia piccante, chi sia effettivamente coinvolto nell’affaire o chi vi compaia solo perché intercettato insieme al responsabile; non si riesce più a distinguere cosa sia estratto da una intercettazione, o da una dichiarazione resa in giudizio, oppure cosa sia da riferirsi alla ricostruzione del giornalista o da ciò che si sente dire in giro, magari dai soliti ben informati.
Negare ciò significa, credo, negare buona parte dell’ultima storia politica del Paese.
Dall’altra parte, si evidenzia che il problema non si risolve limitando le intercettazioni, essendovi già il codice che prevede una serie di garanzie a tutela della libertà e segretezza delle comunicazioni e delle pubblicazioni; inoltre il rimedio potrebbe rendere più difficile l’accertamento dei reati. Sotto il primo aspetto, però, pare evidente che le garanzie esistenti non funzionano, e non penso ci si possa affidare all’autodisciplina dei giornalisti, come proposto da De Bortoli nella sua risposta ad Ostellino (Corriere della Sera del 23 maggio). Sotto il secondo aspetto, occorrerebbe ben bilanciare i due interessi (esigenza di verità e presunzione di innocenza) tenendo conto che non tutti i mezzi istruttori appaiono sempre e comunque anche leciti.
Non so se l’attuale disegno di legge sulle intercettazione costituisca il miglior bilanciamento possibile tra i diversi interessi coinvolti (a parte il fatto che deve ancora essere valutato nella sua stesura definitiva ed è già stato oggetto di modifiche significative, come permettere l’estratto per riassunto delle intercettazioni, o allungare il periodo di assunzione). Mi pare però che la proposta cerchi di far fronte e di superare un problema vero ed esistente.
Ho letto (Stampa del 17 giugno) che si vorrebbe approvare la legge ad uso e consumo della cricca, per coprire le proprie malefatte. Ecco un altro esempio di condanna a prescindere. L’intercettato è già colpevole e la limitazione delle intercettazioni serve a fargli fare ciò che vuole in modo indisturbato.
Certo, l’attuale classe politica non sta facendo molto per impedire che la si pensi così. Ma ritengo che debbano sempre prevalere le conquiste democratiche dello Stato di diritto, secondo il quale i processi si fanno solo in Tribunale e il diritto di cronaca non può coincidere con il suo abuso.

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