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La violenza del pensiero debole

Fonte:
CulturaCattolica.it

Rinunciatario, per nulla propositivo in nome di un pluralismo talmente aperto che si fatica a riconoscerne almeno un pallido contorno, è di moda, e sempre più diffuso, un pensiero che ha programmaticamente escluso la ricerca della verità, la dimensione trascendente e religiosa, per restringere l’interesse al sensibile e al limitato orizzonte del presente. L’altra faccia della medaglia di tale debolezza di pensiero, è la violenza e la solitudine che esso genera nella mente e nel cuore, soprattutto nei giovani. Una sorta di ateismo pratico che rende cinici e sfiduciati verso il futuro, non trovando nulla su cui fondare una ragionevole prospettiva, indipendentemente dalle condizioni, fortunate o meno, in cui ci si trova a vivere. È sugli esiti esistenziali di tale mentalità - quali, ad es., l’incapacità di confrontarsi con una posizione diversa, l’insofferenza esasperata per il limite proprio e altrui, l’instabilità affettiva - che essa mostra il suo totale fallimento. Se può apparire una mentalità vincente, semplicemente perché diffusa, è, al contrario, distruttiva e lesiva delle aspirazioni del cuore umano. Mi colpiva, nelle ultime udienze del Papa, l’incisività della figura di San Tommaso d’Aquino, da lui delineata come una personalità forte, in grado di aiutare a superare l’ateismo contemporaneo. Nello sviluppo del suo vastissimo pensiero, Tommaso spiega il valore della fede. Studioso del pensiero di Aristotele e dei suoi interpreti, corrette le inesattezze dei commentatori arabi che lo avevano diffuso in occidente, mostrò “la consonanza” del pensiero del filosofo greco con i dati della Rivelazione. San Tommaso era fermamente convinto della compatibilità tra il mondo della razionalità, la filosofia pensata senza Cristo, e il mondo della fede - anzi che la filosofia elaborata senza conoscenza di Cristo quasi aspettava la luce di Gesù per essere completa”. Ha unito fede e ragione e ha mostrato che quanto “appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione”, e, viceversa, quanto appariva “fede non era fede se si opponeva alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti”. Con la fede, diceva, “l’anima si unisce a Dio, e si produce come un germoglio di vita eterna; la vita riceve un orientamento sicuro, e noi superiamo agevolmente le tentazioni. A chi obietta che la fede è una stoltezza, perché fa credere in qualcosa che non cade sotto l’esperienza dei sensi, san Tommaso offre una risposta molto articolata, e ricorda che questo è un dubbio inconsistente, perché l’intelligenza umana è limitata e non può conoscere tutto. Solo nel caso in cui noi potessimo conoscere perfettamente tutte le cose visibili e invisibili, allora sarebbe un’autentica stoltezza accettare delle verità per pura fede. Del resto, è impossibile vivere, osserva san Tommaso, senza fidarsi dell’esperienza altrui, là dove la personale conoscenza non arriva. È ragionevole dunque prestare fede a Dio che si rivela e alla testimonianza degli Apostoli.” … “Tommaso ci propone un concetto della ragione umana largo e fiducioso: largo perché non è limitato agli spazi della cosiddetta ragione empirico-scientifica, ma aperto a tutto l’essere e quindi anche alle questioni fondamentali e irrinunciabili del vivere umano; e fiducioso perché la ragione umana, soprattutto se accoglie le ispirazioni della fede cristiana, è promotrice di una civiltà che riconosce la dignità della persona, l’intangibilità dei suoi diritti e la cogenza dei suoi doveri”. Insomma, l’abbraccio di un pensiero forte.

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