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Cambogia: la giustizia non dimentica la verità

Fonte:
CulturaCattolica.it
Comunicato stampa

Alla fine, la condanna del Tribunale cambogiano contro i crimini di guerra del regime di Pol Pot è arrivata, pur se con un deplorevole ritardo. È stato condannato a 35 anni il “compagno Duch”, responsabile, per suo esplicito riconoscimento, dello sterminio di oltre 14.000 persone.
Si dirà che è un atto di giustizia (anche se gli altri, molti, responsabili non pagheranno per le loro nefandezze: i più sono morti, per gli altri… si aspetterà).
Ci è stato insegnato da Benedetto XVI che la giustizia richiede anche la verità. Ed è questa verità che desideriamo che emerga sempre di più tra noi, nel nostro mondo, nella nostra società e nella nostra cultura. E la verità è che un regime totalitario ha realizzato quello che una ideologia di morte ha pensato e progettato come esperimento di una società a misura d’uomo. Ma il comunismo ha solo reso evidente quello che già Henri de Lubac, accolto dal magistero degli ultimi pontefici, aveva affermato: «Non è vero che non si possa costruire una società senza Dio. Quello che è vero è che la si costruirà contro l’uomo».
Cambogia, Viet Nam, Russia sovietica, Cina, Cuba (tanto per citare alcuni dei molti esperimenti comunisti) rimangono il nome di una vergogna incancellabile dell’umanità. Pertanto la giustizia nei confronti di questi crimini cambogiani, per quanto tardiva, restituisce un minimo di dignità umana e civile ai milioni di vittime sacrificate sull’altare di quella folle ideologia.

Dobbiamo però anche ricordare (e questa è una necessità per chi ha a cuore la sorte dell’uomo e vive la drammaticità della «emergenza educativa» che ci investe) che ogni verità richiede anche una reale assunzione di responsabilità: sono ancora tra noi, e non hanno mai fatto una seria ammissione di colpa, coloro che, negli anni del genocidio cambogiano, approvavano, esaltavano ed indicavano come modello quell’orrendo tentativo di cancellazione di milioni di esseri umani. Poiché molti di loro sono ancora «prime donne» nel teatrino della politica italiana, ci viene in mente una amara verità, che accompagna spesso la storia recente del nostro grande e sfortunato paese: in Italia le grandi tragedie finiscono spesso in “operetta”.
Abbiamo imparato da Giovanni Paolo II e da Benedetto XVI che, senza una “purificazione della memoria” (che inizia sempre con il riconoscimento dei propri errori) sarà difficile pensare ad un mondo più giusto ed umano, dove la speranza- soprattutto per i giovani – non sia offuscata e tradita.
Noi siamo testimoni di un modo di guardare e servire l’umano che si chiama «Dottrina sociale della Chiesa». Solo imparandola e realizzandola si darà per gli uomini e la società una chance di giustizia.

C’è infine un’ultima questione che ci inquieta e a cui i mass-media non sapranno forse mai dare una spiegazione convincente: che cosa passa nel cuore di un uomo capace di fare tanto male.
Solo Gesù «sa cosa c’è nel cuore dell’uomo»: a lui chiediamo chiarezza e conforto.

+ Luigi Negri, Vescovo di San Marino-Montefeltro
Don Gabriele Mangiarotti, responsabile di CulturaCattolica.it

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