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La chimera della riforma della giustizia

Autore:
Spinelli, Stefano
Fonte:
CulturaCattolica.it

Reset. Punto e a capo. Ci sarebbe bisogno – mi pare – di ricominciare, di ripartire, di ristabilire regole condivise capaci di superare l’impasse giustizia-politica, di trovare una via d’uscita a quindici anni di altisonanti processi politici, da una parte, e di silenziosa giustizia quotidiana dimenticata all’angolo e spesso inefficace, dall’altra.
Cominciava così un mio commento al rapporto tra giustizia e politica del novembre 2009. Potrebbe cominciare benissimo così un commento sulla medesima situazione, oggi (certo, occorrerebbe correggere da 15 a 16 gli anni di impasse!).
La riforma di una giustizia sempre più “invadente” in campo politico ed “impotente” con riferimento alle concrete questioni da risolvere ogni giorno da parte dei cittadini, continua ad essere una chimera.
La strada è tutta in salita, “sì che ’l piè fermo sempre è ’l più basso”, tanto che per salir sto “dilettoso monte, ch’è principio e cagion di tutta gioia” (beh, almeno di una parte), ci si dovrebbe proprio affidare ad un’“anima degna” mandata dalla bontà divina!
Nessun governo è mai riuscito nell’intento di varare una riforma della giustizia.
Questa legislatura l’ha posta come obiettivo politico prioritario e programma elettorale.
Oggi, figura tra i cinque punti confermati da Berlusconi, dopo il cataclisma estivo con i finiani, da utilizzare come nuova base programmatica, una sorta di minimo comun divisore maggioritario per permettere alla legislatura di arrivare al suo termine naturale.
Non ne sono precisati i contorni, ma i contenuti sono conosciuti.
Si parla di riforma costituzionale del CSM, che preveda l’istituzione di due organismi separati per i magistrati, e conseguente rafforzamento della separazione delle carriere (inquirente e decidente). Nell’ambito delle riforme costituzionali, è prevista anche la versione per legge costituzionale, pendente al Senato, dello scudo a tutela delle più alte cariche dello Stato, già denominata Lodo bis. Come si ricorderà, infatti, il precedente Lodo Alfano, assunto con legge ordinaria, era stato bocciato a maggioranza dalla Corte Costituzionale. Il processo breve, che fissa tempi massimi per la durata dei processi, è stato approvato dal Senato, ma pende nei cassetti della Commissione Giustizia della Camera presieduta dalla finiana Buongiorno (e, visti i tempi…). Peraltro, è notizia fresca, Berlusconi avrebbe fatto un passo indietro rispetto all’approvazione della legge, la cui norma transitoria era stata duramente criticata dall’opposizione in quanto avrebbe inciso anche sui processi del premier. Continua l’esame stop & go del decreto sulle intercettazioni, già approvato dal parlamento ma oggetto di modifiche (iter ormai biennale). Di un progetto di riforma della legge sull’Avvocatura, se ne parla da tempo, ma nessuno sa - novello Carneade – in che consista.
E’ stata portata a termine, invece, la riforma del processo civile, è stata completata la normativa antimafia e la riorganizzazione delle forze dell’ordine, sono state approvate le nuove norme sul processo amministrativo.
Ora, potrebbero formularsi alcuni giudizi, anche di carattere generale. Potrebbe sottolinearsi, per esempio, che meglio avrebbe condotto all’ascesa del “dilettoso monte” una proposta complessiva ed organica di riforma, piuttosto che tanti interventi che appaiono, nei singoli obiettivi perseguiti, sostanzialmente condivisibili (e qui si aprirebbe un tema di ben altra portata), ma si presentano frammentari e scollegati. Potrebbe riprendersi il chiaro ma meno condivisibile Violante-pensiero (espresso al Meeting di Rimini), secondo cui “chi esercita il potere politico deve comprendere che la democrazia si fonda sulla separazione dei poteri, ma che esiste un potere che può controllare gli abusi della politica. Questo non aumenta il potere delle magistrature, ma aumenta la loro responsabilità”. Non parrebbe equilibrato un sistema di governo “sub judice”, come si dice, o una diarchia giudici-governo, in quanto il magistrato deve applicare la legge e la legge viene approvata dal parlamento secondo l’indirizzo politico del governo, scelto dal popolo. Probabilmente la cancellazione dell’immunità parlamentare tra gli equilibri costituzionali ha alterato un po’ le cose.
Eppure, anche in considerazione dell’attività forense da me svolta, preferisco mettere in evidenza quanto emerso, invece, nel confronto di ieri a Cernobbio tra Alfano e Davigo. Ebbene, dopo aver scandagliato tutte le possibili cause del mal funzionamento della giustizia… la colpa è degli avvocati. Sono troppi (10 mila togati contro 200 mila avvocati) e quindi il problema è una “eccessiva domanda di intermediazione giudiziaria”, che tradotto vuol dire che, se ci sono troppe cause pendenti, è perché gli avvocati convincono i clienti a farle. Occorrerebbe diminuirne il numero. Prendiamo atto.
Altro colpo di scena. Nonostante quanto è sempre stato ripetuto per contrastare ogni proposta di cambiamento… non c’è alcun bisogno di nuovi fondi della giustizia. Basterebbe chiudere i tribunali con meno di dieci magistrati.
Una domanda: siccome, da una parte si propone di ridurre il rapporto proporzionale magistrati-avvocati, non è che diminuendo i primi, torneranno troppo in auge i secondi?

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