Scuola: come cominciare?
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Dovendo introdurre in terza la storia medioevale, mi sono scervellato tutto il giorno, chiedendomi: come posso motivare a queste sedicenni lo studio di un'epoca e di una letteratura così lontane dalla loro vita non solo cronologicamente, ma soprattutto come mentalità, sguardo e giudizio sulla realtà, significato? Un’epoca sottoposta a un terribile e plurisecolare giudizio negativo? A un certo punto mi è venuto in mente di aver letto su un testo un’omelia del Cardinal Biffi alla inaugurazione dell’anno accademico dell’università di Bologna. Sono entrato in classe e ho letto la parte più significativa, che diceva: “Nell’epoca dei più alti traguardi mai raggiunti, come quella delle Cattedrali, delle “Summae Theologicae”, della Divina Commedia e della fioritura delle Università in tutta Europa, fede e ragione erano percepite come nativamente amiche, nate ambedue dalla sapienza misericordiosa del Creatore, chiamate a integrarsi e a collaborare per il vero bene dell’uomo. Cioè, fede e ragione sorelle sono umanamente fecondissime. Ad un certo punto però si disse: come suocera e nuora, fede e ragione non litigano solo quando non si incontrano, poiché sono tra loro incompatibili e alternative. Qualcuno divenne bravissimo a spadroneggiare sulle cose e a manipolarle, ma gli sfuggì di mano il suo stesso destino. Ancor oggi, nel mondo esteriormente unificato, ma frantumato nella sostanza della sua intellegibilità, l’uomo fatica a ritrovare se stesso”. Ho chiesto alle mie alunne: “Vi interessa studiare un'epoca in cui era chiaro quale fosse il destino dell’uomo, la sua felicità? in cui era chiara la risposta alla domanda: “Ma io chi sono veramente?” Vi interessa un’epoca in cui l’uomo non era costretto a censurare i suoi desideri, ma si chiedeva il senso di tutto, cercava una risposta a tutto? Perché questo è l’unico motivo che può spingere una persona a studiare la storia medioevale, Dante e la Divina Commedia, le Cattedrali romaniche e gotiche, la nascita delle Università”.
C’era grande attenzione e insieme forte imbarazzo sui loro volti, davanti a una proposta che appariva loro totalmente nuova, diversa dal solito. Alcune hanno detto che in 10 anni di scuola non avevano mai sentito introdurre lo studio della storia in quel modo, altre che non pensavano che la storia e la letteratura potessero interessarle tanto; infine alcune, rimaste in silenzio e da me provocate a reagire, dicevano: “Abbia pazienza prof, ma ci dobbiamo adattare a questa novità assoluta del suo insegnamento”.
Una addirittura ha reagito dicendo: “Prof sono proprio d’accordo, perché io sono qui per capire le questioni fondamentali della mia vita, non ci può essere altro scopo del mio venire in classe ogni mattina, se qualcuno non ha questo interesse, penso farebbe meglio a stare a casa”.
Ho richiamato l’inizio della Divina Commedia, facendo loro notare che Dante è come ciascuno di noi: consapevoli della confusione che abbiamo in testa decidiamo di iniziare un cammino che abbia come scopo la chiarezza su di sé, ma per questo occorre iniziare una ricerca e un lavoro diversi da quello che il mondo, la Tv e spesso la scuola ci propongono, lasciandoci guidare da un maestro come Virgilio. Lo scopo di questo viaggio non è un diploma, una carriera assicurata, un lavoro sicuro, ma una cosa imparagonabilmente più grande: la conoscenza, non di alcuni particolari, ma di quel che ci sta più a cuore. E questa conoscenza è possibile. Era questa la fiducia che aveva Dante: egli parlava di sé, ma parlava di tutti noi, era convinto che tutti vivano la stessa esperienza e situazione e abbiano le stesse esigenze. Ma tutti i grandi geni umani della storia hanno questa profonda convinzione e dietro ogni loro produzione, dietro ogni forma (architettura, musica, poesia) c’è un’esperienza, c’è il desiderio di comunicare un’esperienza, che va diritta e interroga il nostro cuore: “Ma tu chi sei veramente?”.
Parlando con le mie alunne è apparso chiaro che quasi sempre questo aspetto nell’insegnamento, nel lavoro educativo viene saltato, è assente, in primo luogo perché esige che questo desiderio di riconoscere un’esperienza umana dietro qualsiasi forma sia presente nell’insegnante, in secondo luogo perché questo approccio al reale è rischioso, chiede il rischio di un cambiamento di sé, dell’approfondimento dello sguardo su di sé e sul reale. Eppure questo è “il sugo”, il gusto dell’insegnamento, perché io posso spiegare come è fatta la poesia di Dante o di Leopardi, ma la cosa essenziale, che affascina, quel che tutti cercano, attendono, è capire quale esperienza umana ci sta dietro, il grande mistero dell’essere, della vita, il destino dell’uomo, perché l’uomo è l’unico livello della natura che non basta a se stesso, in una parola la verità dell’umano. Mi viene in mente quel che diceva il don Giuss ai suoi primi alunni: “Ragazzi vi dico che la verità c’è e questa verità è il destino cui siamo incamminati; o sono impostore io o dovete seguirmi... Che interesse ho a dirvi questo? Uno solo: la passione alla vostra felicità, come ho passione per la mia felicità; non vi conosco, ma vi amo come me stesso. Questa è l’umanità nuova che attraverso di noi deve espandersi nel mondo”. E Papa Giovanni Paolo II diceva: “Così San Benedetto fece diventare l’eroico quotidiano, perché il quotidiano potesse diventare eroico”. Le aule scolastiche trasformate in piccoli monasteri benedettini!
La sfida e il rischio continuano.