Sarah Scazzi: una madre lo sa
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Il sesto senso delle madri, l’istinto materno, chissà, forse sono solo luoghi comuni.
O forse no, c’è un linguaggio del cuore, che ti fa intuire dietro a dei gesti, dietro agli sguardi dei tuoi figli, che qualcosa non va, che chiedono in silenzio aiuto, o che sono felici e non hanno voglia di condividerne con te il motivo, ma tu lo sai, lo intuisci, lo vedi dal loro muoversi per casa o dal tono con cui ti dicono – ciao - uscendo.
Ma non sempre è così, questi figli sono satelliti con orbite autonome, di tanto intanto ci incrociano, ma non sempre è facile capire i dolori del crescere, le inquietudini, lo sanno quei genitori i cui figli si sono tolti la vita e sino ad un attimo prima sembravano ragazzi sereni, avevano cenato con la solita allegria, o giocato a pallone con gli amici e un tarlo stava intanto rodendo la loro anima sino a portarli a compiere un gesto senza ritorno e lasciare una ferita aperta nel cuore di chi non smette di amarli e di chiedersi se qualcosa si poteva intuire.
Chissà cosa passa nel cuore della signora Concetta, la madre di Sarah Scazzi, nel cuore di una madre a cui dei parenti hanno barbaramente assassinato una figlia poco più che bambina.
L’altra sera qualcuno di quei tuttologi che a affollano i salotti televisivi per erudirci sui segreti della mente, quelli che credono d’avere la chiave del cuore dell’uomo tra le mani, si chiedevano in tv, come mai, come mai - se Sarah aveva litigato con la cugina non ne aveva parlato con la mamma - come mai la signora Concetta non sapesse di sua figlia più di quello che sapeva il suo diario.
Non bisogna avere una laurea per tornare con la mente alla nostra adolescenza e ricordare come mai non aprivamo il nostro cuore ai nostri genitori, come mai crescere sia un esercizio complesso e difficile che a volte si fa in solitaria e senza paracadute.
Bisognerebbe esercitare il dovere del silenzio davanti a certe vicende.
Detto il fatto, raccontato lo svolgimento, attendere di conoscere come è andata a finire per comunicarlo alla gente, senza vivisezionare la vicenda, perché si finisce per fare come quelle comari che non avendo nulla da dire, inventano o insinuano.
Ci vorrebbe più rispetto per una madre che vede in ogni istante rinnovato quel dolore, analizzato, dalla stampa, dalla tv, nessuno può arrogarsi il diritto di sapere che c’è nel cuore di una madre che nel momento in cui perdeva una figlia s’è trovata a perdere una sorella, una famiglia con cui aveva condiviso tanti gesti quotidiani, feste, allegria, silenzi, e dolori.
Chi sia l’artefice di tanto male non lo sappiamo ancora, tra confessioni e ritrattazioni, tra accuse e difese quello che sembrava un caso subito risolto dalla confessione spontanea del colpevole, ora appare come un intrigo, di certo c’è solo che la morte di quella figlia è avvenuta in casa della zia, della sorella della signora Concetta, per mano di qualcuno che l’aveva vista crescere, o che era cresciuta con lei, e che nessuno ha fermato la mano assassina.
La madre di Sarah che le immagini ci hanno mostrato forte, come
uno scoglio solitario in balia del mare, ha preso carta e penna e
scritto con la sua calligrafia incerta una lettera indirizzata “AI COLPEVOLI” li chiama così, perché come gli inquirenti e ognuno di noi, sa che sono i suoi parenti, ma non sa bene ancora come sono andate le cose.
Così, senza fare nomi, lasciando che chi ha questo compito trovi la verità ha scritto il suo dolore, la sua fede, che non lascia spazio all’odio, e regge forte e salda in attesa della resurrezione dove tutti ci troveremo.
Scrive la signora Concetta: “Io credo nella risurrezione speranza sicura che dà il mio Dio quando dice tramite suo figlio Cristo: L’ora viene in cui tutti quelli che sono nelle tombe con me udranno la sua voce e ne verranno fuori”. Sarà un tempo meraviglioso perché potrò riabbracciare mia figlia.”
A chi si aspettava un invito all’odio o alla vendetta, ora non resta che tacere e riflettere sulle parole di questa donna che attende un tempo meraviglioso, perché una madre lo sa deve esserci un luogo dove finalmente riabbracciare i nostri figli.