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Agricoltura e cultura

Fonte:
CulturaCattolica.it

“Ancora non lo sai […] / non lo sospetti ancora / che di tutti i colori il più forte / il più indelebile / è il colore del vuoto?” Così scrive Vittorio Sereni in una sua poesia, Autostrada della Cisa, in cui affronta il tema della separazione dagli affetti e della memoria. L’uomo ha paura del vuoto. Indefinito colore, così come spesso, in modo indefinito, il vuoto si insinua. “Abisso, orrido immenso”, diceva Leopardi, per indicare il nulla che resta all’uomo alla fine di un percorso faticoso e senza sosta. Fuggiamo, istintivamente, dall’abisso e dal vuoto, eppure una mentalità si insinua, penetrante, insensibile al grido che è in noi, e sembra volerci portare, a tutti i costi, verso il nulla. È la banalizzazione dei gesti, delle azioni e dei pensieri. Una semplificazione che uccide, che fa male. Rivolgendosi al Pontificio Consiglio della Cultura, Benedetto XVI ha osservato che “è in atto una profonda trasformazione culturale, con nuovi linguaggi e nuove forme di comunicazione, che favoriscono anche nuovi e problematici modelli antropologici”. Quelli su cui si appoggia l’indelebile colore del vuoto che risuona di una libertà proclamata a voce alta ma in una solitudine triste. “Oggi non pochi giovani, storditi dalle infinite possibilità offerte dalle reti informatiche o da altre tecnologie, stabiliscono forme di comunicazione che non contribuiscono alla crescita in umanità, ma rischiano anzi di aumentare il senso di solitudine e di spaesamento”. Illusioni e pericoli delle conoscenze in chat, virtuali legami lontani da reali amicizie. E’ per dialogare con tutti, nella ricerca della verità, che il Papa ha proposto “un luogo di incontro amichevole e sincero, quell’ideale “Cortile dei Gentili”, per avvicinare in un confronto anche chi si trova lontano o indifferente alla fede. Sono sforzi per scalfire il vuoto che, se come tale è inconsistente, ha il peso del disagio esistenziale, la coltre spessa della sofferenza d’animo. E per questo cammino la Chiesa dispone di uno “straordinario patrimonio di simboli, immagini, riti e gesti della sua tradizione”. Ma “più incisiva ancora è la bellezza della vita cristiana. Alla fine, solo l’amore è degno di fede e risulta credibile”. È sul principio dell’amore all’uomo e al creato che, all’Angelus della scorsa domenica, Benedetto XVI ha invitato a intraprendere un modello di vita sostenibile, rispettoso dell’ambiente e dei più poveri. “Malgrado la crisi, consta ancora che in Paesi di antica industrializzazione si incentivino stili di vita improntati ad un consumo insostenibile. Occorre puntare, allora, in modo veramente concertato, su un nuovo equilibro tra agricoltura, industria e servizi, perché lo sviluppo sia sostenibile, a nessuno manchino il pane e il lavoro, e l’aria, l’acqua e le altre risorse primarie siano preservate come beni universali (Caritas in veritate, 27). E’ fondamentale per questo coltivare e diffondere una chiara consapevolezza etica, all’altezza delle sfide più complesse del tempo presente; educarsi tutti ad un consumo più saggio e responsabile; promuovere la responsabilità personale insieme con la dimensione sociale delle attività rurali, fondate su valori perenni, quali l’accoglienza, la solidarietà, la condivisione della fatica nel lavoro”. Per il bene comune, per amore all’uomo.

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