Lettere di sacerdoti perplessi
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Cordialmente Corrado Augias» e di Don Alberto: «Caro don gabriele non mi convinci proprio»

Caro don Alberto, forse ci conosciamo. Sono anch’io sacerdote, della tua diocesi, anche se ora vivo a San Marino. Sono tante le cose che si possono dire, soprattutto a proposito della trasmissione cui ti riferisci. A me quello che ha sconcertato è stata la testardaggine con cui i due conduttori hanno rifiutato il confronto, parlando di «opinioni» a proposito delle vite di chi difende quotidianamente la vita dei propri cari. Oggi stiamo assistendo alla equiparazione tra vita e morte, come se la libertà di scelta dell’uomo fosse tra queste due alternative, che avrebbero lo stesso valore. Ma tu sai, lo hai certamente imparato, che quello che noi affermiamo come libertà è intensamente più profondo. Credo che si possa citare «laicamente» quanto affermava Gesù: «La verità vi farà liberi». Ho incontrato molti giovani e credo che il problema anche per loro sia di capire che cosa è la verità della vita, e che solo una posizione corretta può aiutarli a fare scelte mature e consapevoli.
Scusa l’esempio, ma credo che faccia più male quella trasmissione di Fazio e Saviano (come quelle di Piero Angela…) che uno spettacolo sconcio. Sai perché? Perché è evidente che lo spettacolo sconcio è male (noi diremmo «peccato»), mentre l’altra posizione si riveste di motivazioni umanitarie, ma alla fine schiaccia l’uomo, perché ne riduce la ragione.
Ho seguito con dolore la vicenda Englaro e credo che quanto hanno fatto i miei amici genitori di Massimiliano Tresoldi sia più degno di ascolto, accoglienza e pubblicità. Se avrai tempo, valli a trovare. È una iniezione di speranza, e un sostegno alle famiglie e ai giovani.
Al sig. Augias.
Egregio signore, calamita (o calamità) di sacerdoti perplessi. Chissà perché lei, come tanti altri signori, si permette di accusare chi la pensa diversamente da lei di intenzioni malevole, di volontà di potere, di pretesa di imporre agli altri le proprie opinioni. Ma non è quello che anche lei vuole fare? Se no, perché scrive su un giornale? Comunicare le proprie ragioni non è certo un atto di prepotenza, fa parte della grandezza e bellezza di essere uomini. Senza questo confronto non ci sarebbe civiltà. Io ho imparato a servirmi della forza delle ragioni, e non delle ragioni della forza, prima di tutto da mio padre, Presidente diocesano di Azione Cattolica, e poi da quando sono stato a scuola, nelle scuole dello stato, prima di entrare in seminario. Ho trovato molti insegnanti che mi hanno guardato con amicizia e sostenuto, pur nella diversità di opinioni. Quando poi ho insegnato, non sempre ho trovato colleghi con l’identica apertura d’animo, con sincera e stupita stima del diverso, soprattutto nella fase educativa, così affascinante e delicata.
Per quanto riguarda le sue considerazioni sul suicidio di Monicelli, è facile per tutti sputare sentenze. Forse un dignitoso silenzio sarebbe meglio, con la preoccupazione espressa tempo fa da Giovanni Paolo II visitando i terremotati dell’Irpinia: «E io vengo, carissimi fratelli e sorelle, per mostrarvi il significato di questa vicinanza; per dirvi che siamo vicino a voi per darvi un segno di quella speranza, che per l’uomo deve essere l’altro uomo. Per l’uomo sofferente, l’uomo sano; per un ferito, un medico, un assistente, un infermiere; per un cristiano, un sacerdote. Così un uomo per un altro uomo. E quando soffrono tanti uomini ci vogliono tanti uomini, molti uomini, per essere accanto a quelli che soffrono. […] Ho detto che quando soffrono uomini, quando soffre un uomo, ci vuole un altro uomo accanto a quello sofferente. Vicino a lui.»
Credo che cambierebbe tanto la situazione. E rinascerebbe una speranza per il popolo, quello che, con tutte le nostre parole, sembra venir meno. Per questa rinascita ci vogliono solo «uomini di buona volontà».
Con stima e rispetto
don Gabriele Mangiarotti