Enzo Bianchi continua a imperversare

“L’agnello azzannato e straziato dal leone è la Chiesa presa dal potere politico, o forse dal maligno, ed il cagnolino bianco, che pur palesemente inadeguato al compito cerca di distogliere la belva dalla sua azione, è il simbolo della fedeltà. O forse leone e cane sono le due linee della teologia: l’una che riduce a brandelli la Verità e l’altra che, pur accettando il ridicolo e forse il martirio, si batte per salvare l’agnello, la Verità” .
(Card. J. Ratzinger, Troja 22.10.1985)
Fonte:
CulturaCattolica.it
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Ho letto questo interessante articolo critico su un incontro che si è tenuto a Bari, dove era ospite il Priore di Bose, Enzo Bianchi.
Riporto alcune considerazioni (rimandando al sito di Corrispondenza Romana per il testo completo: Enzo Bianchi continua a imperversare). Mostrano in maniera evidente la difformità rispetto al Magistero, alla Tradizione e al Catechismo.

C’è una «evoluzione del mondo della fede» e … oggi la «teologia classica» ha delle risposte interessanti alle domande esistenziali. La prima: «La fede non sta nel piano della conoscenza, la fede sta sul piano delle convinzioni» perché «il cristiano non ha certezze» e «chi crede, non è che sa. Non è che conosce. Chi crede è convinto, ha una convinzione dentro di sé»; inutile negare la forte carica relativista di un simile messaggio, un modo contorto e pasticciato di distinguere tra “scienza e fede” che finisce col fare torto alla tradizione cristiana, la quale ha sempre insegnato che «l’assenso della fede non è affatto un cieco moto dello spirito» (Catechismo della Chiesa cattolica, n. 156).
Seconda: la Chiesa «in un primo tempo» ha insistito sul peccato originale come spiegazione del male, ma, ci informa l’aggiornatissimo monaco, «oggi la Chiesa non è più su queste posizioni. La Chiesa non legge più il peccato originale nella preistoria degli uomini, questo davvero ormai è una sciocchezza. Più nessuno osa dire questo». Si osa invece dire che «il peccato sta nelle fibre di ogni uomo che viene al mondo. Se volete quella incapacità a operare sempre bene. Il male a un certo punto entra in noi. Quando noi abbiamo incominciato a essere cattivi? Chi è che lo può dire? a un certo punto abbiamo notato che il nostro operare era il male. E su questo la Chiesa non dà risposte». Invece sì: basta rispolverare il Catechismo del 1992 per apprendere che la dottrina di San Paolo sul peccato di Adamo trasmesso a ogni uomo è come «“il rovescio” della Buona Novella che Gesù è il Salvatore di tutti gli uomini, che tutti hanno bisogno della salvezza e che la salvezza è offerta a tutti grazie a Cristo. La Chiesa, che ha il senso di Cristo, ben sa che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo» (CCC, n. 389).
E gli scoop proseguono: la caduta degli angeli buoni «non fa parte del Credo, della teologia della Chiesa» (cfr. invece CCC, n. 391); la fede in Dio «dipende da Dio, se lui ci dà questo dono o no» (tradotto: se sei ateo, tranquillo, vuol dire che la fede non fa per te); «è più importante la coscienza che ogni autorità teologica, dogmatica ed ecclesiale».
Ci domandiamo cosa debba ancora accadere perché le autorità della Chiesa si decidano a lanciare almeno un richiamo formale al troppo disinvolto priore di Bose, il quale, paradossalmente, riesce perfino a “rubare lavoro” al Sant’Uffizio. Il 12 maggio 2012 a Caravaggio si era scagliato contro «certi movimenti» troppo affezionati alla parola «destino» e così ha concluso: «Mi domando perché nessuno li corregge». Testuale. (Amerigo Augustani)

Allora possono aiutarci queste riflessioni dell’allora Card. Ratzinger che, commentando un bassorilievo della Cattedrale di Troia, così affermava:
Permettetemi di concludere con una piccola esperienza personale che ha aiutato a dare a queste mie riflessioni una dimensione più concreta. L'anno scorso, in occasione di una conferenza che ho tenuto nel Sud Italia, ho avuto modo di visitare la magnifica cattedrale romanica di Troja, nelle Puglie. Il pulpito di questa cattedrale è in marmo, e su uno dei suoi lati c'è un bassorilievo piuttosto misterioso, scolpito nel 1158. Tempo addietro, uno studioso amico mi aveva descritto la scultura, che per lui raffigurava un'allegoria della teologia, che è una vera e propria laus theologiae, una esaltazione della teologia nella Chiesa e per la Chiesa.

Il bassorilievo mostra tre animali che l'artista ha disegnato come un riflesso delle condizioni della Chiesa ai suoi tempi. C'è un agnello che è attaccato da un leone feroce. Questi ha afferrato l'agnello tra i suoi denti, e ne ha già divorato una parte del suo fianco. Nonostante ciò, vediamo che l'agnello è ancora vivo, ma è straziato e sopraffatto dalla potenza del leone e non può combattere, immobilizzato da una paura che lo lascia senza difese.

E' chiaro, per me, che questo agnello rappresenta la Chiesa, o meglio, la fede nella Chiesa. Nel contempo la scultura ci rappresenta una visione molto pessimista: la Chiesa autentica, la Chiesa della fede sembra quasi dover essere divorata dal leone del potere, che tiene il suo prigioniero tra le sue mascelle. Ma la scultura lascia trasparire anche una sorta di speranza. C'è un terzo animale, il cane da pastore. Il cane non è potente quanto il leone, ma è accorso alla riscossa ed è entrato con decisione nel conflitto. Può darsi che il cane sarà la prossima vittima del leone, ma il leone sarà costretto ad abbandonare la presa sull'agnello.

Non ho potuto consultare degli esperti in storia dell'arte e non so da dove il mio amico abbia tratto la sua interpretazione, quindi sarei del parere di lasciare aperto l'interrogativo sulla sua lettura esatta. Pertanto, visto che l'opera risale al periodo del conflitto tra il papato e gli Hohenstaufen (il casato di Federico II), potremmo pensare alla lotta per il potere tra la Chiesa e l'Impero.

Ma sarebbe probabilmente più esatta un'interpretazione dal punto di vista dell'iconografia cristiana classica. Dove, il leone rappresenta il demonio o, più concretamente, l'eresia che strappa la carne alla Chiesa e la divora. Il cane bianco potrebbe essere il simbolo della legalità o fedeltà: agisce al posto del pastore, che "dona la sua vita per le sue pecorelle" (Giov. 10,11). La sola domanda che resta è: dov'è la teologia in questo drammatico conflitto? Secondo il mio amico, il cane coraggioso che salva la fede dall'attacco del leone è la sacra dottrina.

Ma più rifletto, e ammesso che possa così interpretarlo, più penso che la scultura lasci la questione piuttosto aperta. La sola figura chiara sotto ogni punto di vista è l'agnello che rappresenta la Chiesa. Ma gli altri animali, il leone e il cane, non potrebbero rappresentare due possibilità, due alternative per la teologia?

Il leone non potrebbe rappresentare la tentazione storica della teologia d'imporsi alla Chiesa, alla fede? Non potrebbe rappresentare la violentia rationis, questa ragione dispotica e violenta che Bonaventura, un secolo più tardi, descriverà come una malformazione del pensiero teologico?

E il cane coraggioso non potrebbe essere là per simboleggiare proprio il contrario, una teologia che sa di essere al servizio della fede e che corre il rischio di rendersi ridicola, tentando di riportare la tirannia e l'arroganza al loro posto? Se così è, quale monito ci viene dal bassorilievo sul pulpito di Troia, a noi così come ai predicatori e ai teologi di tutti i tempi!

Esso offre una sorta di specchio a chi parla e a chi ascolta. Invita a un esame di coscienza i pastori e i teologi. Gli uni e gli altri, infatti, possono proteggere o divorare. E così, indicando una problematica che resta sempre attuale, l'immagine ci riguarda tutti.


(Conferenza del cardinale Joseph Ratzinger a Toronto 15.04.86)

Concludendo: non sarà che il nostro Bianchi impersoni la «belva» che dilania la dottrina della Chiesa?
E non sarebbe bene allora che i provvedimenti da lui invocati si rivolgano proprio al suo insegnamento?

Ringrazio Salvatore Altomare per il testo di Ratzinger e per l'immagine della Cattedrale di Troia @SalvoAltomare