E se le fake news fossero prodotte dal Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede?
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In occasione della discussione animata a proposito della lettera di Papa Benedetto XVI a Mons. Dario E. Viganò, sono andato a rileggere l’ultimo messaggio di Papa Francesco per la Giornata delle Comunicazioni sociali, il cui tema era «La verità vi farà liberi (Gv 8,32). FAKE NEWS e giornalismo di pace».
Forse varrebbe la pena che il Prefetto della Segreteria per la Comunicazione della Santa Sede se lo andasse a leggere (o rileggere). Sembra che Papa Francesco – descrivendo la logica delle «fake news» – avesse come modello ispiratore quanto accaduto in quella occasione.
Leggiamo il cuore del messaggio:
Fake news è un termine discusso e oggetto di dibattito. Generalmente riguarda la disinformazione diffusa online o nei media tradizionali. Con questa espressione ci si riferisce dunque a informazioni infondate, basate su dati inesistenti o distorti e mirate a ingannare e persino a manipolare il lettore. La loro diffusione può rispondere a obiettivi voluti, influenzare le scelte politiche e favorire ricavi economici.
L’efficacia delle fake news è dovuta in primo luogo alla loro natura mimetica, cioè alla capacità di apparire plausibili. In secondo luogo, queste notizie, false ma verosimili, sono capziose, nel senso che sono abili a catturare l’attenzione dei destinatari, facendo leva su stereotipi e pregiudizi diffusi all’interno di un tessuto sociale, sfruttando emozioni facili e immediate da suscitare, quali l’ansia, il disprezzo, la rabbia e la frustrazione. La loro diffusione può contare su un uso manipolatorio dei social network e delle logiche che ne garantiscono il funzionamento: in questo modo i contenuti, pur privi di fondamento, guadagnano una tale visibilità che persino le smentite autorevoli difficilmente riescono ad arginarne i danni.
La difficoltà a svelare e a sradicare le fake news è dovuta anche al fatto che le persone interagiscono spesso all’interno di ambienti digitali omogenei e impermeabili a prospettive e opinioni divergenti. L’esito di questa logica della disinformazione è che, anziché avere un sano confronto con altre fonti di informazione, la qual cosa potrebbe mettere positivamente in discussione i pregiudizi e aprire a un dialogo costruttivo, si rischia di diventare involontari attori nel diffondere opinioni faziose e infondate. Il dramma della disinformazione è lo screditamento dell’altro, la sua rappresentazione come nemico, fino a una demonizzazione che può fomentare conflitti. Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.»
Certamente ogni uomo ragionevole e senza pregiudizi, soprattutto se immune dalla malattia dei «lecca-calze» stigmatizzata dal papa stesso e da altri chiamata «categoria dei turiferari», potrebbe rendersi conto della confezione della notizia ingannevole di cui si sta parlando. Basterebbe pensare alla scelta di rendere nota la lettera di Benedetto XVI alla vigilia del V anniversario di pontificato (così che TUTTI i media l’hanno presentata come una lettera che intendeva denunciare le «stolte» contrapposizioni tra Benedetto e Francesco) e poi, sorprendentemente, l’avere censurata la parte finale, ove papa Benedetto dichiarava di non avere letto né di avere tempo e intenzione di leggere i «libriccini» che spiegavano la teologia di Papa Francesco.
Quello che poi sconcerta, almeno me, è quanto afferma Sandro Magister, che ha pubblicato l’intero contenuto della lettera:
«Io alla presentazione dei libretti sulla teologia di papa Francesco c'ero. E c'erano con me una ventina di altri vaticanisti. Ebbene, Viganò la lettera l'ha letta tutta, mentre contemporaneamente veniva distribuito il comunicato stampa che includeva tra virgolette solo i due paragrafi che hanno prodotto il risultato che sappiamo. Il giorno dopo ho cercato di vedere se era stato pubblicato da qualche parte il testo integrale della lettera. Invano. E allora mi sono detto: Basta! Ho ricuperato la videoregistrazione della performance di Viganò e da lì, dalla sua viva voce, ho trascritto il testo completo della lettera. Quindi almeno una ventina di vaticanisti avevano udito con le loro orecchie tutto quello c'era scritto nella lettera di Benedetto XVI, eppure l'effetto è stato quello che sappiamo. Non è stata una pagina brillante per la professione. E la colpa non è stata solo di Viganò.» |
Tutto questo rivela la drammatica verità indicata da papa Francesco: «Le notizie false rivelano così la presenza di atteggiamenti al tempo stesso intolleranti e ipersensibili, con il solo esito che l’arroganza e l’odio rischiano di dilagare. A ciò conduce, in ultima analisi, la falsità.»
Certo allora chi ha architettato tutto questo dovrà rispondere del male diffuso, magari poi anche tirando conseguenze sul piano professionale. Forse sarebbe ora di prendersi le proprie responsabilità, assumendo l’atteggiamento di servitore della verità e non manipolatore – più o meno volontario – delle coscienze, in particolare dei piccoli. Per non ricadere nella figura stigmatizzata dal Giusti di «strumenti ciechi di occhiuta rapina».
Rimane aperta la domanda «Cui prodest?». Che vantaggio c’è a confezionare notizie che poi vengono in qualche modo se non smentite, almeno corrette? La santa Chiesa deve essere testimone di un giornalismo capace di appassionare alla verità, limpido e coraggioso, soprattutto in questi tempi di menzogna e di strumentalizzazioni. Colpisce il titolo di un articolo che così descrive l’increscioso episodio: «IL GIALLO: Il Vaticano sbianchetta la lettera di Ratzinger» Il Papa non ha bisogno di mezzucci perché se ne riconosca l’autorità o il valore. Questi danneggiano il Papa e la Chiesa.