Cattolici e unioni civili
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Ma perché i cattolici, almeno loro, non hanno tenuto conto di quanto autorevolmente insegnato dalla Chiesa, attraverso la sua Dottrina Sociale, su quanto riguarda l’essenza della famiglia e sulla consapevolezza di quelle che si chiamano «unioni civili»?

Sarà pur vero che ci troviamo in un «cambiamento d’epoca», e che in questa situazione neppure i cattolici sanno bene che cosa sia giusto fare. Come ricorda il Cardinal Scola nella sua autobiografia: «Noi tutti abbiamo la percezione che un’era storica si sia chiusa ma non riusciamo a immaginare come sarà l’uomo del terzo millennio. Il problema è che il cattolicesimo in generale, e quello italiano in particolare, non ha ancora preso coscienza di come testimoniare la fede in una società plurale». (A. Scola, Ho scommesso sulla libertà, p. 121)
Molti tra i credenti pensano che la chiarezza di un giudizio non solo lasci il tempo che trova, ma sia un pericoloso atto ideologico che, anziché favorire la ricerca di soluzioni condivise, impedisca un cammino comune. E così, con lo slogan “Costruire ponti e abbattere muri” ci troviamo in una situazione che definire di confusione è ancora poco.
Basterebbe pensare a quanto accaduto in Repubblica di San Marino in occasione della approvazione della legge sulle unioni civili. Esultanza, euforia, passo di civiltà, uscita dal medioevo, conquista… sono solo alcune delle affermazioni che hanno salutato l’evento. Con in aggiunta la nota di «bipartisan», che avrebbe così sancito l’uscita dalla minorità di coloro che, per ancestrali retaggi, non si erano ancora adeguati alle «magnifiche sorti e progressive» di questo nostro nuovo clima culturale.
Rimangono solo alcuni che versano lacrime (inutili) sul latte versato, perché oramai da qui non si può più tornare indietro.
Il treno è partito, e la sua marcia è inarrestabile. E coloro che pensavano a un lieve ritocco della situazione (una regolatina alle unioni civili tra persone dello stesso sesso, così per risolvere conflitti e bagatelle) se ne dovranno fare una ragione.
Che dire?
1. Forse la riflessione di Marcello Pera sulla «autofagia dei diritti», laddove siano sganciati dal loro fondamento, risulta ancora la lettura più adeguata. Come dire: «dimenticato Dio, tutto diventa possibile». E qui sarebbe certamente utile rileggere la tragica profezia di Nietzsche a proposito della morte di Dio. Ma ancora meglio oggi sarebbe rileggere quanto ci ha ricordato Papa Francesco in questi ultimi giorni: «Occorre “costatare che, nel corso degli anni, l'interpretazione di alcuni diritti è andata progressivamente modificandosi, così da includere una molteplicità di “nuovi diritti”, non di rado in contrapposizione tra loro”. Si apre così una serie di problemi che giungono a coinvolgere in profondità l'idea stessa del diritto e i suoi fondamenti» e questo in sintonia con quanto affermato dal Papa emerito Benedetto XVI: «Mi è sembrato importante che si parli esplicitamente della problematica della “moltiplicazione dei diritti” e del rischio "della distruzione dell'idea di diritto".»
2. Potremmo però ritrovare anche la saggezza contenuta nello sconosciuto (ai più) ultimo libro della Bibbia. Ci accorgeremmo allora che la Apocalisse ci dà lezioni di una attualità sconvolgente. Non solo perché ci mostra che è nella natura del cristianesimo il cambiamento d’epoca, cioè quel fenomeno per cui, nel divenire costante del mondo, la fede rimane sempre diversa e i cristiani «senza patria», ma soprattutto perché ci mostra l’unica via possibile per la novità dentro il presente, il riconoscimento di Cristo, l’Agnello sacrificato. Come ricorda un grande studioso della Sacra Scrittura, Heinrich Schlier: «La storia… non si ripete puramente e semplicemente, non è mai una storia uguale. È sempre una storia di volta in volta diversa, col variare delle situazioni. Ma nella storia via via differente avviene tuttavia ogni volta la stessa cosa.»
Così l’Apocalisse ricorda a noi, cristiani smemorati, che non ci sono scorciatoie o compromessi, che la sola via percorribile è la testimonianza.
Allora potrebbe aiutarci nella riflessione sull’oggi quanto il grande poeta Eliot scriveva già nel secolo scorso
Noi costruiremo con mattoni nuovi
Vi sono mani e macchine
E argilla per nuovi mattoni
E calce per nuova calcina
Dove i mattoni sono caduti
Costruiremo con pietra nuova
Dove le travi sono marcite
Costruiremo con nuovo legname
Dove parole non sono pronunciate
Costruiremo con nuovo linguaggio
C’è un lavoro comune
Una Chiesa per tutti
E un impiego per ciascuno
Ognuno al suo lavoro».
[T. S. Eliot, Cori da «La Rocca»]
Diciamo no a sogni restauratori come pure a peana ingenui e fallaci, mentre affermiamo la necessità di un lavoro costante e quotidiano, quella fede che diventa cultura e che si mostra in tutta la sua bellezza e ragionevolezza. Quella bellezza che sola può ridare forza alle convinzioni autentiche dell’uomo. «In un mondo senza bellezza […], in un mondo che non ne è forse privo, ma che non è più in grado di vederla, di fare i conti con essa, anche il bene ha perduto la sua forza di attrazione, l’evidenza del suo dover-essere-adempiuto; e l’uomo resta perplesso di fronte ad esso e si chiede perché non deve piuttosto preferire il male. Anche questo costituisce infatti una possibilità, persino molto più eccitante. Perché non scandagliare gli abissi satanici? In un mondo che non si crede più capace di affermare il bello, gli argomenti in favore della verità hanno esaurito la loro forza di conclusione logica» (H.U. von Balthasar, Gloria).
P.S.: Ma perché i cattolici, almeno loro, non hanno tenuto conto di quanto autorevolmente insegnato dalla Chiesa, attraverso la sua Dottrina Sociale, su quanto riguarda l’essenza della famiglia e sulla consapevolezza di quelle che si chiamano «unioni civili»?
- Da Repubblica.sm 65 KDa Repubblica.sm