Condividi:

E' possibile essere cristiani in politica?

Autore:
Scilipoti, Domenico
Un amico, Bruno Volpe, mi ha inoltrato questo articolo del sen. Scilipoti, in cui egli auspica la ripresa di una presenza cristiana in politica. Certo è un nobile intento, che si trova a dovere fare i conti con una situazione di disgregazione culturale e religiosa di immense proporzioni. Ci auguriamo che sia un tentativo «ironico», come ricordava don Giussani parlando ai politici cristiani. Che serva a porre il problema, indipendentemente dalle possibili soluzioni. Per parte mia ritengo che l’insegnamento costante della Chiesa con la sua Dottrina sociale sia la bussola da non perdere mai. Quello che comunque sarà necessario sarà, a mio avviso, il realismo della proposta e la capacità di unità realizzata, per evitare i risultati «zero virgola» che non possono che allontanare ulteriormente il popolo dalla responsabilità per il bene comune. Non è la politica che ricostruisce un popolo, ma un popolo consapevole che genererà proposte praticabili e portatrici di giustizia e speranza. Certo, al di là della condivisione o meno del progetto del Senatore, ci possiamo interrogare sul tema proposto.
Questo contenuto è fornito da terze parti (www.youtube.com). Per visualizzare il video è necessaria l'accettazione dei cookie di YouTube.
Accetta cookie di Youtube
Potrai modificare in futuro la tua scelta cliccando "Gestione Cookies" a fondo pagina.
Per saperne di più Ti invitiamo a leggere la nostra cookie Policy.

La recente crisi di governo (ma anche gli ultimi sviluppi politici in Italia) ha dimostrato con grande efficacia una cosa: la difficoltà per i credenti a trovare una collocazione nell’agone nazionale e quella dei politici di ispirazione cristiana a recitare un ruolo convincente. Ed è sul rapporto tra politica e fede che, sia pur sommariamente, intendo parlare in questa occasione, grato dello spazio che mi viene cortesemente concesso.
Il politico credente non è una “monade”, cioè non vive su un pianeta lontano, ma, proprio in base alla Dottrina sociale, è chiamato ad immergersi nella vita reale e concreta di tutti i giorni. Come? Portando il suo contributo di idee in modo coerente con i principi cristiani che è chiamato a testimoniare con uno stile di vita intonato a quanto professa nella teoria (in caso contrario egli sarebbe una contro testimonianza ed anzi persino di scandalo). Che cosa vuole dire? Avere sempre e comunque il coraggio, che non è semplice di questi tempi, di ispirare le proprie scelte, anche legislative, alla Parola. Nessuno, per carità, pretende di imporre uno Stato teocratico, cosa che lascio volentieri ad altri modelli culturali o religiosi. Lo stesso Vangelo ci dice con chiarezza che bisogna dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Pertanto, rispetto per la laicità, cosa naturalmente ben distinta dal laicismo che è rifiuto della scelta religiosa, anzi ostilità. E allora: il politico credente ha il dovere di testimoniare la sua fede sapendo dire di no ad ogni modello di legge che urta contro i principi non negoziabili, dunque no ad eutanasia, sì alla vita che è sacra dal momento del concepimento sino alla fine naturale, no all’aborto, no alle unioni civili in quanto la sola famiglia che merita tal nome è quella di uomo e donna aperti al dono della vita ed uniti nel vincolo del matrimonio, no agli atti omosessuali, no alla ideologia gender, no alla deriva scientista ricordano che quanto possibile alla scienza non è sempre intonato al diritto naturale e alla Scrittura, sì alla valorizzazione della donna nell’economia, nel lavoro, nella politica (del resto, Vangelo alla mano, non sono state delle donne ad annunciare per prime la resurrezione?), sì ai valori delle democrazie occidentali, sì alla tutela dell’ambiente e del creato, sì a cambiare l’attuale economia e dare un’anima all’economia del domani. Un politico credente ha il dovere di far coesistere fede e ragione che non sono nemiche, ma possono, anzi devono convivere.
Dove affermare queste cose? Nelle sedi istituzionali, senza timore e penso che nella recente crisi di governo sia stato bene sentire risuonare al Senato qualche verso del Vangelo o citazioni di San Giovanni Paolo II. La fede non è riservata alle sacrestie, ma ha bisogno di gesti esterni, nelle strade e nelle piazze, certamente senza estremismo o fanatismo valorizzando quelle manifestazioni belle della devozione e pietà popolare
In poche parole, al politico credente si chiede, come a tutti, di rendere straordinario l’ordinario con la chiamata universale alla santità
Santità non significa fare cose mirabolanti, levitare, parlare lingue strane, o ergersi a ridicolo profeta: santità è compiere rigorosamente bene, con responsabilità e professionalità il proprio dovere in coscienza, santificandosi nel lavoro quotidiano, sapendo anche tacere quando è opportuno.
Il politico credente non può naturalmente dimenticare l’aspetto sociale del suo compito, guardando al bene comune e al benessere della popolazione. La politica è infatti, secondo San Paolo VI la più alta forma di carità, ma attenzione a non fraintendere il termine. Fare del bene, operare la solidarietà rimane mera filantropia, se non suffragata dall’ideale cristiano della carità e dell’amore a Dio e ai fratelli.
Oggi prevale una visione individualista della società e della politica che cozza con la visione cristiana dell’agire. Tuttavia, questa doverosa attenzione non ci porti alla pericolosa conclusione di una poco chiara “fratellanza universale”, gabbata per neo umanesimo cristiano, che ha ispirazione massonica.
Per questa ragione, in spirito cristiano, ma rispettoso della sana laicità, come giustamente la chiamava Papa Benedetto XVI, da qualche tempo ho costituito Unione Cristiana, un progetto politico e culturale che ispirandosi ai valori cristiani (che errore fu non conformare la Costituzione Europea ad essi) ritiene che abbiamo bisogno di uomini delle istituzioni sale della terra e lievito che fermenta la massa.

Sen. Domenico Scilipoti Isgrò

Vai a "Ultime news"