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A proposito del pronunciamento della Consulta sul fine vita

Autore:
Giovenzana, don Fabio
Fonte:
CulturaCattolica.it
Secondo quanto riportato dal “Corriere della Sera” e da altre fonti d’informazione, la recente sentenza della Corte Costituzionale (25/09/2019) a proposito della liceità in alcuni casi dell’aiuto al suicidio sarebbe stata adottata all’unanimità.
Questo, se è vero, ci pone gravi problemi, perché «Tra i 15 giudici che compongono la Consulta ve ne sono alcuni che si professano “cattolici” e che hanno dato il loro assenso».

Secondo quanto riportato dal “Corriere della Sera” e da altre fonti d’informazione, la recente sentenza della Corte Costituzionale (25/09/2019) a proposito della liceità in alcuni casi dell’aiuto al suicidio sarebbe stata adottata all’unanimità.
Tra i 15 giudici che compongono la Consulta ve ne sono alcuni che si professano “cattolici” e che hanno dato il loro assenso. A loro pongo alcune questioni:

  1. “La Corte ha ritenuto non punibile …, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proprio suicidio”. Dunque ci sarebbero alcune “condizioni” in cui si potrebbe collaborare a porre fine a una vita. Il pensiero di Gesù a questo proposito è inequivocabile: «Avete inteso che fu detto agli antichi: Non ucciderai; chi avrà ucciso dovrà essere sottoposto al giudizio. Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello dovrà essere sottoposto al giudizio. Chi poi dice al fratello: “Stupido”, dovrà essere sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: “Pazzo”, sarà destinato al fuoco della Geènna» (Mt 5,21-22). Gesù non ammette eccezioni, anzi, rende ancora più esigente il comandamento! Papa Francesco, parlando alla Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi durante un’udienza tenuta nella sala clementina in Vaticano, venerdì 20 settembre (4 giorni prima della riunione della Consulta), ha tra l’altro detto: «Di fronte a qualsiasi cambiamento della medicina e della società da voi identificato, è importante che il medico non perda di vista la singolarità di ogni malato, con la sua dignità e la sua fragilità. Un uomo o una donna da accompagnare con coscienza, con intelligenza e cuore, specialmente nelle situazioni più gravi. Con questo atteggiamento si può e si deve respingere la tentazione – indotta anche da mutamenti legislativi – di usare la medicina per assecondare una possibile volontà di morte del malato, fornendo assistenza al suicidio o causandone direttamente la morte con l’eutanasia. Si tratta di strade sbrigative di fronte a scelte che non sono, come potrebbero sembrare, espressione di libertà della persona, quando includono lo scarto del malato come possibilità, o falsa compassione di fronte alla richiesta di essere aiutati ad anticipare la morte. Come afferma la Nuova Carta per gli Operatori Sanitari: “Non esiste un diritto a disporre arbitrariamente della propria vita, per cui nessun medico può farsi tutore esecutivo di un diritto inesistente” (n. 169)». La vita è sempre indisponibile e sacra! Esistono ancora i “diritti inviolabili”, senza “ma” e senza “se”?
  2. Secondo la Corte il proposito di suicidio verrebbe “autonomamente e liberamente formato” da un paziente “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”. Strana e astratta concezione della persona, considerata come una monade avulsa da tutte le relazioni affettive e sociali! Strana e astratta concezione della libertà che si identificherebbe con la pura e semplice “autodeterminazione”! Sappiamo che Gesù mette inscindibilmente in relazione “libertà” e “verità”: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi!» (Gv 8,31-32). Lo scettico ed opportunista Pilato in questa circostanza avrebbe esclamato: «Ma che cos’è la verità?» (Gv 18,38). Il caso “paradigmatico” del DJ Fabo – da cui scaturisce questa sentenza – sarebbe il caso di una scelta “autonomamente e liberamente formata”? Come non vedervi un disegno ideologico luciferino che nasce dal mondo radicale (“Associazione Luca Coscioni”), avanguardia operativa di quella mentalità relativista e nichilista dominante che possiede il predominio dei mezzi d’informazione, dei centri di pensiero e di educazione della nostra attuale società, che hanno usato questo “caso pietoso” (come dal tempo del “divorzio”) come strategia per dare una spallata al nostro ordinamento giuridico?
  3. Prima s’introduce questo “vulnus” letale nel nostro ordinamento giuridico – che aprirà varchi incontrollabili e condurrà per un’inevitabile catena di sentenze giurisprudenziali su un’inarrestabile “piano inclinato” – e poi si afferma che “l’individuazione di alcune specifiche condizioni e modalità procedimentali, desunte da norme già presenti nell’ordinamento (ecco smascherato il vero “cavallo di Troia” di cui i politici ne portano la grave responsabilità: la legge n. 219 del 2017 sul fine vita), si è resa necessaria per evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili”! Una persona “specialmente vulnerabile” è in grado di essere “pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”? «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!» (Mt 23,23-24).
  4. La Corte descrive le “condizioni” che rendono “non punibile” il suicidio assistito. Si parla, infatti, di “un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale (compresi i trattamenti di idratazione e nutrizione artificiale!!!) e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche «o» psicologiche (!!!), che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli (!!!)”. Gesù, decisamente, ci ha insegnato un’altra posizione di fronte agli ammalati, ai sofferenti e ai moribondi: «Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (Lc 10,30-34).
  5. “In attesa di un indispensabile intervento del legislatore (che ha ormai le mani legate perché l’impianto di fondo della nuova legge è già stato dettato, c’è solo da eseguire!!!) la Corte ha subordinato la non punibilità… alla verifica sia delle condizioni richieste che delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Sistema Sanitario Nazionale”. Povero SSN, già al collasso! Poveri medici, a cui la Corte affida – di fatto – l’esecuzione del “lavoro sporco” (già, perché al supposto “diritto” preteso da qualcuno, corrisponde sempre un “dovere” imposto a qualcun altro!), snaturando così l’essenza stessa della loro missione, bene espressa nel giuramento di Ippocrate: «Non somministrerò ad alcuno, neppure se richiesto, un farmaco mortale, né suggerirò un tale consiglio!». Non può non venire alla mente quel fatidico momento, così descritto nel Vangelo: «Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto aumentava, prese dell’acqua e si lavò le mani davanti alla folla, dicendo: “Non sono responsabile di questo sangue. Pensateci voi!”» (Mt 27,24).
  6. Mi si potrebbe obiettare: «Ma io sono giudice di uno Stato “laico” che non s’identifica con nessuna fede religiosa e inoltre non è più il tempo di “imporre” la fede con le leggi!». Gesù ha già risposto a questa questione, da 2000 anni: «I farisei mandarono da lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli “Dunque, di’ a noi il tuo parere: è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare?”… Gesù rispose: “Mostratemi la moneta del tributo”. Ed essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: “Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?”. Gli risposero: “Di Cesare”. Allora disse loro: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”» (Mt 22,15-21). Proprio perché vogliamo dare vero onore a Cesare, gli dobbiamo anzitutto il tributo della “ragione”! Recita il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa: «L’esercizio della libertà implica il riferimento ad una legge morale naturale, di carattere universale, che precede e accomuna tutti i diritti e i doveri (Cfr. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis splendor, 50). La legge naturale “altro non è che la luce dell’intelligenza infusa in noi da Dio. Grazie ad essa conosciamo ciò che si deve compiere e ciò che si deve evitare. Questa luce o questa legge Dio l’ha donata alla creazione” (S. Tommaso d’Aquino) e consiste nella partecipazione alla Sua legge eterna, la quale s’identifica con Dio stesso (Cfr. S. Tommaso d’Aquino, Summa theologiae, I-II, q.91, a.2, c). Questa legge è chiamata naturale perché la ragione che la promulga è propria della natura umana. Essa è universale, si estende a tutti gli uomini in quanto stabilita dalla ragione. Nei suoi precetti principali, la legge divina e naturale è esposta nel Decalogo ed indica le norme prime ed essenziali che regolano la vita morale (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1955). Essa ha come perno l’aspirazione e la sottomissione a Dio, fonte e giudice di ogni bene, e altresì il senso dell’altro come uguale a noi stessi. La legge naturale esprime la dignità della persona e pone la base dei suoi diritti e dei suoi doveri fondamentali (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1956)». E se a Cesare dobbiamo il tributo della ragione, a Dio dobbiamo l’obbedienza della coscienza: «Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire e la cui voce, che lo chiama sempre ad amare e a fare il bene e a fuggire il male, quando occorre, chiaramente parla alle orecchie del cuore... L’uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al suo cuore... La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli si trova solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità propria (Conc. Ec. Vat. II, Cost. Past. Gaudium et Spes, 16)» (Cfr. Catechismo della Chiesa Cattolica, 1956).
  7. «Ma non si può più pretendere di affermare i “principi cristiani” in un mondo dove Dio non ha più posto!». Don Giussani ebbe a dire durante un’assemblea di preti dell’alta Italia, tenutasi lunedì 14/12/1982: «Allora se un ragazzo è pieno di coscienza di questa appartenenza, una simile appartenenza fa essere “suo” tutto! Tutto: i compagni, la compagna, la casa, il professore, l’italiano, il latino, la matematica, il foglio che ha messo fuori la CGIL, quel che ha letto la mattina sul giornale, quello che ha sentito dal GR2, la proposta che gli fanno di andare in gita. Tutto è giudicato, senza accorgersene, dalla coscienza di quell’appartenenza. Allora lui reagisce su tutto. Reagisce sul modo di guardare i compagni, sul modo di guardare i professori, su quello che studia, sulla notizia della Polonia, sulla notizia di Gheddafi, sulla notizia dell’uccisione di un magistrato, di un Carabiniere… Reagisce dal punto di vista della coscienza di quell’appartenenza che lo costituisce. Allora è un tipo che dà un giudizio su tutto, ed è un tipo che prende partito, prende iniziativa. C’è qualcosa che possa non essere oggetto d’interesse per un cuore o per una coscienza che s’identifica con Cristo? Cristo poteva passare vicino a un filo d’erba senza esserne interessato? No! Così noi. Per questo il nostro Movimento è nato, dentro la scuola, scioccando, perché si è presentato come una coscienza di appartenenza a Cristo che dava giudizio su tutto. Non un giudizio distaccato su tutto, ma un giudizio che faceva prendere rapporto con tutto. Il giudizio è già un rapporto con tutto, con le cose, ma il giudizio deve fare intervenire e coinvolgere con le cose. Altrimenti prima di tutto non è neanche formulato bene il giudizio e in secondo luogo diventa subito una parola che passa. «L’uomo spirituale giudica tutto e non è giudicato da nessuno» (1Cor 2,15). È il giudizio che è venuto sul mondo, è il giudizio che abbraccia il mondo nella misericordia e lo cambia, a prezzo anche del proprio sangue, della propria mortificazione e del proprio dolore. Perciò ci lascia la pelle per i compagni, ci lascia la pelle per lo struggimento del mondo com’è oggi, con la Polonia, gli assassini, le BR … Ci lascia la pelle perché l’italiano e il latino sono spiegati in quel modo. Ci lascia la pelle perché i suoi compagni sono tutti battezzati e son lì come morti, anche se magari frequentano l’Oratorio… Si impara soltanto quello che si vede in azione. Perciò quello che si impara deve diventare giudizio su tutto ciò che ci accade personalmente, nella comunità, nella Chiesa e nella società… Così il giudicare tutte le cose, il prendere rapporti con i propri compagni, il modo di stare con le ragazze, il modo di studiare o di fare il proprio dovere, il modo di spiegarsi il contenuto di italiano, di filosofia o di storia, il modo di usare il tempo libero, il modo di concepire le proprie energie, il modo di giudicare quello che accade, il modo di giudicare il convegno della DC, nasce da questa coscienza, che diventa espressione della coscienza di me… Quanto più rivitalizziamo la nostra educazione, tanto più tutta la gente deve fremere per la pressione della propria coscienza a livello culturale, sociale e politico ... Sentite cosa dice Newman in questo bellissimo libro: “Gli ariani del IV secolo”: “Strettamente parlando la Chiesa cristiana, come società visibile, è necessariamente una potenza politica o un partito. Può essere un partito trionfante, o perseguitato, ma deve sempre avere le caratteristiche di un partito che ha priorità nell’esistere rispetto alle istituzioni civili che lo circondano e che è dotato, per il suo latente carattere divino, di enorme forza e influenza fino alla fine dei tempi. Fin dall’inizio fu concessa stabilità non solo alla mera dottrina del Vangelo ma alla Società stessa fondata su tale dottrina (Mt 16,18). Fu predetta non solo l’indistruttibilità del Cristianesimo, ma anche quella dell’organismo tramite cui esso doveva essere manifestato al mondo. Così il Corpo Ecclesiale è un mezzo divinamente stabilito per realizzare le grandi benedizioni evangeliche. I cristiani non osservano il proprio dovere, o divengono politici in senso offensivo, non quando agiscono come membri di una comunità, ma quando lo fanno per fini temporali o in maniera illegale; non quando si comportano come partito, ma quando si dividono in molti partiti. I credenti della Chiesa primitiva non interferiscono negli atti del governo civile, semplicemente poiché, privi di diritti civili, non potevano agire legalmente. Ma il caso è diverso quando essi godono di diritti (At 16,37-39). Allora si può parlare di spirito secolare, non nel caso in cui essi usino tali diritti, ma qualora se ne servano per fini diversi da quelli per cui furono loro concessi. È certo che, se si deve giudicare l’uso da essi fattone in qualche caso particolare, possono ben sorgere differenze di opinione; ma resta chiaro il principio in se stesso, il dovere di usare i diritti civili concessi ai cristiani per servire la religione. Dal momento che è diffusa l’errata opinione che i cristiani, e specialmente il clero, in quanto tale, non abbiano nessuna relazione con gli affari temporali, è opportuno cogliere ogni occasione per negare formalmente tale posizione e per domandarne prove. È vero invece che la Chiesa è stata strutturata al fine specifico di occuparsi o (come direbbero i non credenti) di immischiarsi del mondo. I membri di essa non fanno altro che il proprio dovere quando si associano fra di loro, e quando tale coesione interna viene usata per combattere all’esterno lo spirito del male, alle corti dei re o tra le varie moltitudini. E se essi non possono ottenere di più, possono, almeno, soffrire per la verità e tenerne desto il ricordo, infliggendo agli uomini il compito di perseguitarli”. Altro che “scelta religiosa”! Questa pagina è letteralmente l’opposto della “scelta religiosa”. Questa è una pagina che vale la pena di mettere sui muri!».
  8. Un’ultima possibile obiezione: «È solo la “testimonianza”, come quella che hanno dato i cristiani prima di Costantino, in un mondo a loro totalmente ostile, che può portare frutto duraturo!». Mercoledì 11 settembre, a Roma, nel corso dell’evento pubblico sul tema “Eutanasia e suicidio assistito. Quale dignità della morte e del morire?”, che ha visto riuniti 76 diversi Movimenti e Associazioni del laicato cattolico pochi giorni prima del pronunciamento della Consulta sul “fine vita”, è intervenuto anche il Card. Gualtiero Bassetti, Presidente della CEI. Ecco alcune delle sue parole, assolutamente inequivocabili: «La Chiesa è chiamata a rendere testimonianza ai valori evangelici della dignità di ogni persona e della solidarietà fraterna. Nel quadro della nostra società, spesso smarrita e in cerca di un senso e di un orientamento, la Chiesa questi valori deve viverli, facendo anche sentire la propria voce senza timore, soprattutto quando in gioco ci sono le vite di tante persone deboli e indifese. Su temi che riguardano tutti, il contributo culturale dei cattolici è non solo doveroso, ma anche atteso da una società che cerca punti di riferimento. Ci è chiesto infatti, come Chiesa, di andare oltre la pura testimonianza, per saper dare ragione di quello che sosteniamo».


A presto!
Don Fabio Giovenzana

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