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Obiezione di coscienza. Alcune considerazioni bioetiche in merito alla proposta di legge sull’IVG a San Marino

Autore:
Raschi, Gabriele
Fonte:
CulturaCattolica.it
Ospito volentieri questo intervento di Gabriele Raschi per il suo valore non solo per la Repubblica di San Marino, ma per le considerazioni di estrema attualità. Vorrei fare pure notare che parlare di aborto come diritto dimentica la tragedia che l'aborto in realtà è, e che a volte varrebbe la pena non solo di prendere in considerazione, ma di vedere realmente ciò che con questo accade, al di là dell'acronimo IVG

Per entrare direttamente nel tema è necessario offrire una definizione di obiezione di coscienza, che consiste nel comportamento non violento di chi disobbedisce ad una norma giuridica positiva in base a motivazioni assiologiche attinenti alle più intime, personali ed irrinunciabili convinzioni morali, le quali costituiscono un “dover essere” espresso dalla normatività della propria coscienza, che si contrappone al dettato normativo percepito come ingiusto.
L’obiezione di coscienza rappresenta una forma di dissenso a carattere non violento che si esprime nel rifiuto individuale, variamente motivato, di prestare ossequio esterno ad un disposto legislativo, subendo però le conseguenze penali del proprio gesto quando l’obiezione di coscienza non trovi riconoscimento legale. Di conseguenza l’obiezione non si esaurisce nella semplice negazione di ossequio ad una legge, ma vuol esprimere consenso profondo ad una legge più alta e non eludibile. Inoltre comporta, generalmente, anche l’offerta positiva di un servizio alternativo alla prestazione imposta dall’ordinamento giuridico (per esempio, difesa della vita anziché aborto ed eutanasia).
L’obiezione di coscienza, quindi, non consiste solo nella semplice negazione di una legge, ma vuole esprimere fedeltà ad una legge e a un principio più alto, affermando il primato della coscienza personale sulla legge dello stato. L’obiezione di coscienza ha il suo fondamento morale nella regola aurea presente in tutte le culture e in tutte le grandi religioni, che sinteticamente potrebbe essere riassunta in: “non fare agli altri quello che non vuoi che essi facciano a te” o ancora più laicamente, ricordando Kant, nello stile di vita di agire in modo da trattare l’umanità sempre come un fine e mai come un mezzo.
La storia del dissenso e della disobbedienza alle leggi in nome della fedeltà ad un imperativo di coscienza è piuttosto antica. Tanto per esemplificare, ricordiamo la tragedia di Sofocle, dove Antigone rifiuta di obbedire alle leggi del tiranno Creonte in nome di una legge superiore che trova inscritta dentro di sé, un Legge Naturale precedente anche a se stessi, legge che può essere solo riconosciuta. Antigone ha rappresentato, da sempre, l’icona del conflitto tra legge naturale e legge positiva e può essere definita l’eterna eroina del diritto naturale, e rappresenta anche la figura antesignana dell’obiezione di coscienza, nella sua manifestazione più alta e più nobile, che giunge sino al sacrificio supremo della vita, in nome di una fedeltà superiore, attribuita alla legge che l’uomo trova riposta nella propria coscienza. In Antigone non vi è solo il conflitto sostanziale tra giusto ed ingiusto, tra ciò che è contenuto nel decreto di Creonte e ciò che comandano le leggi degli dei. Vi è anche un conflitto tra diverse sfere di competenze: quella del potere politico, appartenente agli uomini, e quella riservata alle leggi divine. Potrebbe essere individuato, qui, un primo “seme” di quella distinzione tra spirituale e temporale, che si sarebbe manifestata in tutta la sua evidenza nel principio dualistico del “dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”. Pur utilizzando categorie concettuali estranee al mondo greco, siamo tentati di dire che questo è un primo germe di “laicità dello Stato”.
L’obiezione di coscienza condivide uno dei caratteri essenziali del sistema democratico: quello di essere un metodo pacifico di risoluzione dei conflitti, nel rispetto di un nucleo essenziale di valori comuni e di solidarietà sociali. Ritengo quindi, condividendo il pensiero di autorevoli autori, che l’obiezione di coscienza deve essere inserita a pieno titolo nel percorso storico che ha condotto all’affermazione del principio di laicità delle istituzioni pubbliche. È un persistente richiamo al rispetto dei valori morali custoditi nel “sacrario” della coscienza. La coscienza è il giudizio razionale, più o meno sistematico o intuitivo, sul valore di una determinata azione. La ragione vincola la coscienza. La coscienza si esprime con atti di “giudizio” che riflettono la verità sul bene, e non come “decisioni” arbitrarie”.
Per restringere il campo all’ambito sanitario, l’obiezione di coscienza concerne il non uccidere, e viene sollevata dal medico e dal personale sanitario quando siano chiamati ad effettuare interventi abortivi, nei casi contemplati dalla legge che li autorizza. Poiché nessuna legislazione può imporre la violazione della coscienza del singolo, quando questi sia convinto che il procedimento abortivo costituisce la soppressione diretta di un essere umano, gli ordinamenti dei Paesi democratici, mentre legalizzano la cosiddetta interruzione di gravidanza, prevedono altresì la possibilità dell’obiezione di coscienza.
Il referente comune ad ogni serio e motivato dissenso e, in particolare a tutte le obiezioni denominate “di coscienza”, è costituito dalla coscienza etica, della quale dissenso e obiezioni evidenziano il primato, oggi largamente riconosciuto. Il valore etico delle obiezioni di coscienza, quando siano autentiche (ossia quando non si confonda la coscienza con l’emotività spontaneistica e l’anarchia, né si assolutizzi la propria scelta imponendola agli altri), appare estremamente attuale. Quindi l’agire in coscienza, ossia rispettando la libertà della propria coscienza, deve essere inteso come il combattere affinché sia riconosciuto il diritto fondamentale della persona a non essere forzata ad agire contro la propria coscienza né impedita di comportarsi in conformità ad essa. Il secolare dibattito filosofico sul rapporto fra legge civile e legge morale costituisce oggi l’elemento sostanziale nella sfida delle democrazie occidentali. Già S. Tommaso aveva rilevato che non tutta la sfera della morale può essere coperta dal diritto; la legge, peraltro, non può fondare la morale, semmai riconoscerne le istanze. Tuttavia certi valori fondamentali, necessari e indispensabili a garantire il bene comune, devono essere tutelati anche dalla legge e, quando la legge non tutela un bene essenziale alla convivenza ed al bene comune (come le leggi abortiste), la legge non è legge, deve essere cambiata e può essere oggetto di “obiezione di coscienza”. Il bene fondamentale della vita del singolo, nato e nascituro, la famiglia, l’assistenza medica indispensabile, costituiscono i requisiti etici fondamentali perché ci sia la tutela del bene comune, non già “il minimo etico”, perché non di cosa minima si tratta, ma di “bene comune” da tutelare a vantaggio di tutti.
Oggigiorno la scissione del binomio Verità- Libertà sta rendendo sempre più difficile l’effettiva difesa della vita umana da parte dell’ordinamento statuale e stanno paradossalmente emergendo sottili forme di tirannia, in cui pochi uomini possono decidere del destino di tanti altri. Le leggi sull’aborto volontario in vigore in molti paesi occidentali hanno paradossalmente trasformato il concetto di “delitto” in “diritto”, legittimando la prevaricazione dei più forti sulla vita dei più deboli e degli innocenti. Appare così evidente la confusa situazione giuridica, in cui il valore della vita umana sale e scende su una scala come un qualsiasi interesse soggettivo: il diritto non dipende più in alcun modo dalla verità.
Anche di fronte alla coscienza laica e razionale, l’uccisione dell’innocente e il tentativo della legge di strumentalizzare la professione medica sono ragioni più che sufficienti per rendere non soltanto possibile ma anche obbligatoria la protesta della coscienza.
La legge umana è la determinazione e l’espressione dell’autorità legittima di alcune esigenze del bene comune di una determinata società in un determinato momento storico. È necessario quindi che la legge si fondi sulla ragione e che ricerchi il bene comune. Tra le condizioni essenziali ed obiettive che la legge deve garantire per il bene delle persone e per il bene comune, è indubbio che vadano poste queste due condizioni obiettive:
1. La legge deve difendere la vita di tutti, specialmente dei più indifesi e degli innocenti (se la legge non crea questa condizione, non è più legge e diventa iniqua e va combattuta con tutti i mezzi legittimi da parte di tutti e a nome di chi non si può difendere)
2. La legge non può imporre a nessuno di togliere la vita ad altre persone, salvo che per legittima difesa contro l’ingiusto aggressore.
Quando una legge civile legittima l’aborto o l’eutanasia, cessa, per ciò stesso, di essere una vera legge civile, moralmente obbligante. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza.
Un’autorità politica non può imporre ad un medico di fare un intervento chirurgico che egli ritenga non necessario o dannoso, tanto meno la legge può imporgli di sopprimere una vita, anche allo stadio iniziale della sua esistenza, anzi vorrei dire, tanto più se nella fase iniziale della sua esistenza perché non ha neppure la possibilità del pianto per invocare aiuto e totalmente alle dipendenze delle persone che dovrebbero prendersi cura di lei.
A questo punto, quindi, mi sembra doveroso sottolineare anche il rischio di chi non prende posizione di fronte al comportamento cattivo. Dobbiamo riconoscere un vero e proprio diritto e dovere alla non cooperazione ad azioni cattive, in modo particolare laddove corre il rischio di ledere l’inviolabilità della vita: non è ammissibile neppure l’eventualità di partecipare alla eliminazione di un essere umano. Per poter spiegare i crimini commessi sotto il totalitarismo, nei lager, Hanna Arendt a proposito di Eichmann ha parlato di “banalità del male”. Furono la superficialità burocratica del colpevole, la sua banalità, la sua mancanza di pensiero ad attirare l’attenzione della Arendt. Sono stati l’obbedienza cieca allo stato, l’aver sostituito all’imperativo categorico della coscienza l’imperativo categorico del Fuhrer. Richiamando il principio di diritto romano della “responsabilità in solido” conosciuto a livello popolare sotto forma di proverbio (“è ladro chi ruba e chi para il sacco”), possiamo affermare che chi agisce senza rispettare la propria coscienza, senza verificare cosa contribuisce a raggiungere la propria azione, e se il fine da raggiungere è nocivo, anche la propria azione è cattiva.
L’obiezione di coscienza è uno strumento essenziale di laicità delle istituzioni; può costituire tutt’oggi lo strumento per denunciare, una legge percepita come ingiusta e per chiedere la deroga dall’osservanza, accettando l’adempimento di una prestazione alternativa. L’obiezione di coscienza oltre a svolgere la propria funzione classica di denunzia della legge ingiusta, o di rispetto delle diversità, assume anche un ruolo di ricerca e di proposta di più alti livelli di giustizia: essa si traduce quindi, in un’istanza di progresso etico e giuridico, di perfettibilità della legislazione.
In conclusione, l’obiezione all’aborto non può essere ritenuta norma eccezionale del sistema giuridico, costituendo l’aborto eccezione rispetto al principio di tutela della vita: perciò la normativa sull’obiezione rappresenta un’eccezione all’eccezione (l’aborto) e quindi un ritorno alla regola (il diritto alla vita). L’aborto in effetti rappresenta un trauma non soltanto per la donna e le famiglie, ma anche nel campo del diritto e delle leggi.



Video di aborto in diretta, con immagini terribili e crudeli: non lo collego direttamente, potete se volete andare al link indicato: https://gloria.tv/video/HGDAn72WnNyB4rVth6NAocsit

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