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Quando i «profeti» ci aiutano a leggere il presente

Leggendo il testo di Don Giussani «La verità nasce dalla carne», mi sono imbattuto in questa citazione di Vladimir Solov’ëv, La Russia e la Chiesa universale… che ripropongo nella sua interezza, come aiuto a un giudizio realistico perché cristiano sul nostro presente

In realtà, nella Chiesa universale il passato e il futuro, la tradizione e l’ideale, lungi dall’escludersi a vicenda, sono ugualmente essenziali ed indispensabili per costituire il vero presente dell’umanità, il suo benessere attuale. La pietà, la giustizia e la carità, libere da ogni invidia e da ogni rivalità, devono formare un legame permanente ed indissolubile fra i tre agenti principali dell’umanità sociale e storica, tra i rappresentanti della sua unità passata, della sua molteplicità presente e della sua totalità futura.
Il principio del passato o della paternità è realizzato nella Chiesa dal sacerdozio, dai padri spirituali, dai vecchi o dagli anziani per eccellenza (prete, da presbyteros = senior), che rappresentano sulla terra il Padre celeste, l’Antico dei giorni. E per la Chiesa generale o cattolica, deve esistere un sacerdozio generale o internazionale centralizzato e unificato nella persona di un Padre comune di tutti i popoli, il Pontefice universale. È evidente infatti che un sacerdozio nazionale non può rappresentare in quanto tale la paternità generale che deve invece abbracciare ugualmente tutte le nazioni. Quanto poi alla riunione dei diversi cleri nazionali in un unico corpo ecumenico, è evidente che essa può essere realizzata solo attraverso un centro internazionale, reale e permanente, e capace di resistere di diritto e di fatto a tutte le tendenze particolaristiche.
L’unità reale di una famiglia non può mantenersi in maniera regolare e duratura senza un padre comune o qualcuno che lo sostituisca. Per trasformare gli individui e i popoli in una sola famiglia, in una fraternità reale, il principio paterno della religione deve essere realizzato qui sulla terra in una monarchia ecclesiastica che possa effettivamente riunire attorno a sé tutti gli elementi nazionali ed individuali e servir loro in ogni momento da immagine viva e da libero strumento della paternità divina.
Il sacerdozio universale o internazionale, con il sommo Pontefice come centro unico, riproduce, spiritualizzandola, l’età primitiva dell’umanità, quando tutti i popoli erano realmente uniti dall’origine comune e dall’identità delle idee religiose e delle regole di vita. È questo il vero passato del genere umano, il passato che non pesa sul presente, ma gli serve da base immutabile, e che non esclude il futuro, ma è essenzialmente una cosa sola con lui; quanto al presente dell’umanità, noi lo vediamo ora determinato dalla diversità delle nazioni che tendono a costituirsi in corpi completi o Stati, ciascuno dei quali ha poi un centro particolare indipendente, un potere secolare o governo temporale che rappresenta e dirige l’azione combinata delle varie forze nazionali. Gli interessi dell’umanità, presa appunto nella sua interezza, non esistono per lo Stato e per il governo secolare i cui doveri sono limitati a quel frammento di genere umano cui esso è preposto. La Chiesa universale, pur conservando attraverso il proprio ordine sacerdotale unificato nel sommo Pontefice la religione della paternità comune che è il grande passato eterno della nostra specie, non esclude però la diversità attuale delle nazioni e degli Stati. Tuttavia la Chiesa non potrà mai sanzionare le divisioni e le lotte nazionali come condizione definitiva della società umana, e appunto in que¬sto essa si rivela l’organo fedele della verità e della volontà di Dio. La vera Chiesa condannerà sempre la dottrina secondo la quale non v’è nulla al di sopra degli interessi nazionali, questo nuovo paganesimo che fa della nazione la propria divinità suprema, questo falso patriottismo che vuole sostituirsi alla religione. La Chiesa riconosce i diritti delle nazioni combattendo l’egoismo nazionale, rispetta il potere dello Stato resistendo al suo assolutismo.
Le differenze nazionali devono mantenersi sino alla fine dei tempi; i diversi popoli devono continuare ad essere membra realmente distinte dell’organismo universale. Ma anche questo organismo deve esistere realmente, la grande unità umana non deve esistere solo come una potenza occulta o un ente di ragione, ma deve incarnarsi in un corpo sociale visibile e capace di esercitare in maniera manifesta e permanente una forza d’attrazione che possa tenere in scacco la moltitudine delle spinte centrifughe che lacerano l’umanità.
Per raggiungere l’ideale dell’unità perfetta ci si deve fondare su un’unità imperfetta, ma reale. Prima di riunirsi nella libertà, ci si deve riunire nell’obbedienza. Per innalzarsi alla fraternità universale, le nazioni, gli Stati e i sovrani devono innanzitutto sottomettersi alla filiazione universale, riconoscendo l’autorità morale del padre comune. L’oblio dei sentimenti che i popoli devono al passato religioso dell’umanità sarebbe di pessimo auspicio per il futuro dell’umanità stessa. Quando si semina l’empietà non si raccoglie certo la fraternità.
Il vero futuro dell’umanità, per il quale dobbiamo lavorare, è la fraternità universale che procede dalla paternità universale attraverso una filiazione morale e sociale permanente. Questo futuro che, per realizzare un ideale completo, deve armonizzare gli interessi della vita attuale con i diritti del passato, è stato sempre rappresentato nella Chiesa di Dio dai veri profeti. La comunione di Dio con gli uomini, o Chiesa universale (nel senso ampio del termine), che ha nel sacerdozio l’organo della propria unità religiosa fondamentale e nel potere temporale l’organo della propria pluralità nazionale attuale, deve manifestare anche la propria totalità assoluta, la propria unità libera e perfetta attraverso l’organo dei profeti che vengono spontaneamente suscitati dallo spirito di Dio per illuminare i popoli e i loro capi mantenendo costantemente davanti a loro l’ideale completo della società umana. [Vladimir Solov’ëv, La Russia e la Chiesa universale…, La Casa di Matriona, pp. 258-9]

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