“Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia”. No, noi no
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Con questo siamo contenti della sua liberazione

Premessa: a nessuno di noi tocca giudicare, nessuno ha passato questa terribile esperienza.
C’è un però: non possiamo però neppure fare l’apologia di quella che, in termini oggettivi, si chiama «apostasia».
apostasia Secondo il Codice di diritto canonico, ripudio totale della fede cristiana. Perché da parte di un cattolico battezzato ci sia il delitto di apostasia, tale ripudio deve essere pienamente consapevole, liberamente voluto e manifestato esternamente in modi non equivoci. La pena per l’apostasia è la scomunica latae sententiae, cosicché vi si incorre per il fatto stesso di aver commesso il delitto di apostasia (in forma di grave violazione esterna). [http://www.treccani.it/enciclopedia/apostasia/]
Come dice Maryan Ismail, somala, che ha avuto il fratello massacrato da quelle belve Jihadiste: «Non è un caso che per mesi ho tenuto la foto di Silvia Romano nel mio profilo fb. Sapevo a cosa stava andando incontro. Si riesce soltanto ad immaginare lo spavento, la paura, l’impotenza, la fragilità e il terrore in cui ci si viene a trovare?
Certamente no, ma bastava leggere i racconti delle sorelle yazide, curde, afgane, somale, irachene, libiche, yemenite per capire il dolore in cui si sprofonda.
Comprendo tutto di Silvia.
Al suo posto mi sarei convertita a qualsiasi cosa pur di resistere, per non morire. Mi sarei immediatamente adeguata a qualsiasi cosa mi avessero proposto, pur di sopravvivere.
E in un nano secondo.»
Ma il dolore e la compassione per una scelta così drammatica e per certi aspetti incomprensibile non possono farci dire le parole di quello che dovrebbe essere pastore della nostra fede, soprattutto riferimento per i tanti giovani che desiderano un cammino vero anche di fronte alle difficoltà dell’oggi.
Forse davvero «un bel tacer non fu mai scritto»! E certe situazioni chiedono questo atteggiamento, questo rispetto e questa compassione. Elogi o calunnie non fanno parte della nostra cultura!
“Tutti, in questo momento, la sentiamo nostra figlia”: il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, ha parlato così di Silvia Romano. Lo ha fatto intervistato dal sito Umbria24. “Una nostra figlia che ha corso dei pericoli enormi, che ha avuto coraggio e forza d’animo” ha aggiunto l’arcivescovo di Perugia.
Dagmar Šimková | LAPSI |
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«Cominciammo a credere che il Signore non ci avrebbe caricato inutilmente di un peso superiore alle nostre forze. Non aveva deciso a caso la nostra sorte, ma perché sapeva che avremmo retto alla prova; ci aveva scelte per uno scopo misterioso, perciò cominciammo a cogliere la saggezza che guidava la nostra vita… Non stavamo vivendo il periodo più tragico della nostra esistenza, ma la sua parte più importante, dove ci era dato di conoscere da vicino tutto ciò che riguarda la vita umana, dalle vette alle cadute più tenebrose; eravamo in un pellegrinaggio che ci ha portato attraverso le vie del pensiero e del comportamento umano, del sentimento, della bellezza e del male e attraverso tutto ciò di cui l’uomo è capace. Ma non ci siamo limitate a macinare preghiere: siamo entrate in battaglia come i primi crociati a Clermont, con la convinzione che chi cade per la verità sarà ricompensato con la vita eterna, dove non spalancheranno le loro fauci né la fame, né il dolore, né il freddo, né la paura, né un numero cucito e ben visibile sull’uniforme carceraria. Tuttavia eravamo ben lungi dall’essere diafane come i santi sulle vetrate delle cattedrali. Nemmeno per un attimo abbiamo cessato di essere donne scaltre e perfide, e non abbiamo concesso un attimo di tregua ai nostri aguzzini». [Dagmar Šimková] https://www.tempi.it/blog/io-n-1211-nell-inferno-delle-carceri-comuniste-cecoslovacche/ | LAPSI (participio passato del verbo lat. labi). - È il termine con cui vennero designati i cristiani “caduti” nell’idolatria durante le persecuzioni. Esempî di debolezza ci sono forniti anche da documenti del sec. II, quali il Martirio di Policarpo, il Pastore di Erma; ma il problema dei lapsi, come di una vera e propria categoria di cristiani, si presentò soltanto durante le grandi persecuzioni sistematiche, che miravano a ricondurre i cristiani in massa al culto ufficiale, e pertanto imposero a tutti i cittadini di compiere atti di culto pagano. Si ebbero allora, nelle persecuzioni di Decio e Valeriano, i sacrificati, che avevano cioè compiuto un vero e proprio sacrificio, i thurificati, che s’erano limitati a bruciare incenso innanzi agl’idoli, e i libellatici, cioè, in senso stretto, coloro che erano riusciti a ottenere, in qualsiasi modo, un certificato del sacrificio compiuto; cui nella persecuzione dioclezianea si aggiunsero i traditores, cioè coloro, specialmente ecclesiastici, che avevano consegnato alle autorità pagane copie delle Sacre Scritture. [Alberto Pincherle - Enciclopedia Italiana (1933)] |
Ringrazio Gian Micalessin per la bellezza e chiarezza e umanità di questo suo giudizio.
DA ASIA AD AISHA. A OGNUNO LA SUA ICONA di Gian Micalessin
Non condanniamo Silvia Romano. La sua immagine di donna liberata, ma ancora disposta ad esibire fede e divisa dei suoi aguzzini, sconcerta e allibisce, ma non deve spingerci a detestarla o, peggio, odiarla.
Silvia sicuramente non è consapevole di essere diventata la bandiera di un movimento terrorista responsabile di stragi e massacri. Quell’immagine di lei in vesti islamiche nasconde mesi di privazioni fisiche e psicologiche che la rendono inconsapevole di aver aderito ad una fede impostale da una banda di fanatici. A questa impossibilità molto umana avrebbero dovuto porre rimedio quel premier e quel ministro egli Esteri che, pur presenziando al suo ritorno, si sono ben guardati dal denunciare l’orrore del radicalismo islamico.
Detto questo, un errore ancora più grande è inseguire il conformismo buonista di una sinistra decisa a fare di Silvia la nuova eroina italiana. Lei è soltanto una sopravvissuta. La sopravvissuta di una situazione in cui, per mantenere la barra dritta, servivano fede e certezze ben lontane da quelle di un’Italia e di un’Europa dove definirsi cristiani è ormai una sorta di auto-denigrazione. Sola e prigioniera, Silvia si è piegata alla prima fede che le veniva offerta. E poco importa se era una fede assassina, riassuntale malamente da una banda di fanatici incapaci persino di leggere la lingua del Corano. Per lei il libro del Profeta rappresentava un passaporto capace di regalarle la salvezza o, almeno, la certezza di non essere più una pecorella tra i lupi. E poco importa se quella fede posticcia le è rimasta addosso anche dopo essere stata liberata e riconsegnata ai suoi genitori. Oltre alla sindrome di Stoccolma, Silvia si porta dietro quello stress post-traumatico che trasforma tanti valorosi reduci in emarginati non appena svestono la divisa e rimettono gli abiti civili.
Ma gli eroi sono un’altra cosa rispetto alle vittime.
Una fra tutti si chiama Asia Bibi. Seviziata, sbattuta in galera, condannata a morte per avere difeso la propria fede cristiana in un Pakistan veementemente musulmano, per nove anni s’è rifiutata di profferire quell’abiura al Cristianesimo che le avrebbe garantito la salvezza. Per nove anni, come tanti altri cristiani perseguitati, si è aggrappata alla propria fede difendendola a costo della vita. Per questo chi ancora crede nell’importanza di valori ed ideali non può e non deve fare confusione. Silvia non va denigrata, ma la vera eroina, il vero esempio, è solo Asia Bibi.
[Il Giornale, 12 maggio 2020]