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La certezza del soldato

Fonte:
CulturaCattolica.it
Un’ipotesi di J. dalla trincea milanese.
Questo amico mi ha inviato questo racconto. Come ogni apologo (o evangelicamente: parabola) ci suggerisce una lettura acuta del nostro presente. Ognuno potrà cogliere, nei particolari, un suggerimento per un giudizio chiaro

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Dice John Henry Newman: “Noi non possiamo fare a meno di un’opinione e ci costruiamo un’illusione quando non possiamo avere una verità”.
Partendo da questo assunto, osservando alcuni recenti fatti legati ad un movimento della Chiesa Cattolica, mi sono fatto questa opinione: chiedo a chiunque legga di svelare la possibile illusione e di ricondurre tutto a verità.

Divampa la battaglia.
Il nostro amato Regno, già diviso in vari principati, è lacerato dai conflitti interni e dalle continue aggressioni dei nemici di sempre.
Qualche antico colonnello è in prigione, nelle mani del nemico.
Qualcuno, ebbro di fantasie ed astrazioni, sembra persino festeggiare la fine della guerra.
Nel nostro principato, l’esercito è, in realtà, stremato: nelle trincee si attende un ordine che possa invertire le sorti di quella che sembra essere una guerra ormai segnata.
Dopo la morte del Principe, il generale incaricato sta conducendo il popolo e l’esercito per come può: in molti si dicono entusiasti di lui, qui e là alcuni non nascondono il dubbio che al generale sia toccato un ruolo troppo arduo.
Per qualcuno pesa, ad esempio, il fatto che sia un generale straniero, cioè che non sia cresciuto nella patria per la quale sta combattendo.
Per qualcuno, invece, il popolo era esageratamente legato al defunto Principe per pensare di lottare al seguito di un’altra guida.
Alcuni, tra i più riflessivi, si limitano a farne un problema di carattere, sostenendo che il temperamento del generale non sia quello di cui l’esercito ha bisogno.

Guardando le sofferenze di questi giorni, molti si chiedono in che cosa consistesse la fiducia del popolo verso il Principe.
Sicuramente quella fiducia era figlia di gratitudine.
Gratitudine per quello che il Principe aveva risvegliato in ognuno di loro.
Gratitudine per quella vita, per quella vicinanza, per quell’unità visibile che erano fiorite tra le truppe, soprattutto nei momenti in cui la battaglia aveva mostrato il suo volto più doloroso.
Quella per il Principe era una stima guadagnata letteralmente sul campo: una stima figlia del sudore e delle lacrime spese “fianco a fianco” con ciascuno dei suoi uomini.
Quasi tutti nel popolo avevano visto il rapporto che il Principe riusciva ad instaurare con ciascun soldato.
Per questo ogni soldato era pronto a spendere fino all’ultima stilla di energia accanto ad un Principe valoroso.
Nondimeno, nel popolo era chiaro come al ritorno -atteso e impronosticabile- del Re, il principe gli sarebbe corso incontro abbracciandolo.
E quell’abbraccio sarebbe stato ricambiato.
Questa immagine è oggi probabilmente illusoria: sembrano così lontani i giorni in cui il popolo sperava nel pronto ritorno del Re.

Oggi si vive il dramma.
Per quanto la notizia fatichi a trapelare, i ranghi dell’esercito sono spaccati.
Abbondano i disertori, ci sono fronti che stanno cedendo, altri hanno già ceduto.
Gli avversari avanzano in territori che consideravamo storicamente e irrevocabilmente nostri.
Inoltre, è chiaro che in molti stia sorgendo una malcelata sfiducia negli ordini del generale: così come ci si chiede in che cosa consistesse la fiducia del popolo nel Principe, oggi molti soldati si interrogano su cosa si fondi questa serpeggiante sfiducia nel generale.
Durante una breve tregua notturna in trincea, un soldato mi ha confidato che ci sono almeno tre grandi elementi che hanno indebolito la figura del generale.
In primo luogo, è chiuso nel palazzo: come non vedere la differenza tra un Principe combattente e un generale chiuso tra le mura della fortezza?
Alcuni soldati, in secondo luogo, imputano al generale un eccessivo utilizzo della diplomazia che, col passar del tempo, pare un grave segnale di debolezza.
Dialogare con i nemici su questioni per cui, fino a poco prima, si versava il sangue può diminuire la convinzione delle truppe.

I recenti fatti, poi, nelle parole del soldato, hanno introdotto un terzo elemento di sfiducia: se da un lato la propaganda racconta di un generale ben accreditato nelle stanze del potere, troppi segnali indicano una realtà ben diversa.
Ed è arrivato il cosiddetto “colpo di grazia”: senza che vi sia stata alcuna comunicazione ufficiale, tutti nell’esercito hanno saputo che l’emissario del Re è giunto da lontano per sancire la sfiducia del sovrano nella strategia del generale.
I soldati sono concreti, non vogliono perdere troppo tempo dietro a sottili ragionamenti diplomatici o ad argomenti che parrebbero lotte di potere più che lavoro di trincea.
La grande domanda percorre le trincee: cosa serve davvero alle truppe?
Certamente i viveri.
Certamente gli armamenti.
Certamente ordini chiari e comprensibili.
Certamente un grande amore per ciò che si ha alle spalle, per ciò che si sta difendendo.
Ma forse, quel che più sembra necessario in questi tempi così dolorosi è la certezza.
La certezza che resiste.
Dice ancora J. H. Newman: “la certezza deve resistere ad ogni verifica, o non è certezza”.
Dopo aver parlato con i soldati, ho l’impressione che il più grande errore del generale sia stato quello di sottrarsi alla verifica.
Ad esempio, rinunciando al senato - e così ai senatori -, fuggendo le voci dissidenti, facendo a meno delle voci fuori dal coro, evitando - anche nelle adunanze - con cura ogni imprevisto, costruendo una narrazione lontana da ciò che accadeva nel popolo, chiudendosi nella fortezza, accettando pochi confronti, allontanando coloro i quali muovevano critiche a prescindere dal merito di quanto veniva contestato, nominando ufficiali poco inclini al confronto…

A molti questa fuga dal confronto, questa fuga dalla memoria storica, è parso un gravissimo segno di debolezza.
Perché quelle certezze sbandierate dalla propaganda del generale rifiutavano, di fatto, ogni verifica.
Non rispondendo apertamente, non accentando il confronto e gli scossoni che ne possono derivare, la strategia del generale ha col tempo minato le convinzioni di molti.
Accettando solo adulatori, queste certezze che da anni fuggono le dure verifiche delle voci dissidenti, sembrano oggi, infatti, sgretolarsi.
Sostenere che siano cambiati i tempi mentre sulla testa piovono i soliti pesanti e micidiali proiettili, ha allontanato il governo dalle trincee.
E in molti sembra solo funzionale alla conservazione del potere.
Il Principe aveva unito il popolo e l’esercito descrivendo il cuore di ogni soldato come un diamante eterno: nulla lo avrebbe potuto scalfire, perché impastato di eternità, perché destinato a cose ben più alte e ben più immutabili delle circostanze politiche o culturali.
Il generale ha cercato di schivare molte critiche raccontando di un mondo sottosopra, di un nemico cambiato e diverso, di tempi eccezionali e mai visti prima, di un contesto strano, liquido, imperscrutabile…

Chi ha creduto alla narrazione del generale oggi è quasi inerte: non conquista nuovi territori, ne perde di vecchi…
Chi non ci ha creduto, è talvolta sperduto senza una guida.
Chi ha ancora a cuore la terra natia e la nostra patria, chiede la certezza che sfida ogni verifica.
Chiede la certezza che ci terrà saldi, insieme in trincea fino al ritorno del Re.

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