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Lettera aperta al Direttore di Avvenire e ad Angelo Moretti

Fonte:
CulturaCattolica.it
D’ora in poi “non uccidere” sarà solo un orientamento personale: chi non vuole rispettarlo deve essere libero di farlo e lo Stato lo deve aiutare a realizzare le sue scelte. Viva lo Stato accogliente!
A proposito, chi glielo spiega a Nostro Signore che i suoi Comandamenti sono solo un suggerimento privato? Lo fai tu, Moretti? O la fa Lei, Direttore?

Caro Direttore di Avvenire e caro Angelo Moretti,

grazie per aver detto apertis verbis quello che da tempo ormai era l’inconfessabile pensiero di buona parte del mondo cattolico italiano: che “la legge 194 non è una legge contro la vita e può essere accettata dai cattolici”. Era ora che lo si dicesse. Era ora che “uno schema già vecchio da secoli, superato da un Concilio” (quale, scusate?) venisse infine abbandonato. Era ora che la condanna fermissima fatta da San Giovanni Paolo II di tutte le leggi che consentono l’aborto venisse finalmente cancellata.

In fin dei conti che ha fatto la legge 194? Ha solamente permesso che si potesse uccidere i propri figli con l’approvazione dello Stato. La vecchia legge diceva: “non è lecito ad una donna uccidere il proprio figlio nel suo grembo”. Adesso la legge dice: “è lecito ad una donna uccidere il proprio figlio nel suo grembo e lo Stato le mette a disposizione gratuitamente l’apparato della Sanità per farlo tutte le volte che vuole”. Una bazzecola, no? Non si dirà mica che è una legge contro la vita? Non si sarà mica tanto preconciliari? Non si vorrà mica stare legati ad uno schema già superato da secoli?

E poi, scusate, c’è il dialogo che deve stare davanti a tutto. “Non uccidere”, diceva il Decalogo. E il dialogo, dov’è? Chi sei tu per impormi la tua volontà: “non uccidere”? Se ne parla e poi si rispetta la scelta di ciascuno. Non è importante che sia la scelta giusta, ma che sia dialogata. Se una donna uccide suo figlio dopo averne parlato in una bella comunità accogliente, non deve avere nessun rimorso, giusto? Naturalmente il parere del bambino non ha nessuna importanza, perché la madre è uscita dalla privatizzazione e ha deciso socialmente cosa fare.

A questo punto facciamo uscire dalla privatizzazione anche il femminicidio: facciamo una bella legge che lo renda pubblico, sicuro, scelto razionalmente, eseguito in strutture adeguate. Del resto, come dici tu Moretti, sarebbe “una legge che regolamenta un fenomeno, che lo rende una questione pubblica, non una legge che promuove o che serve a dichiarare una questione di principio”.
Le questioni di principio sono un’anticaglia ideologica, giusto? Non si può partire da affermazioni insindacabili, che chiudono il dialogo e non rispettano le scelte altrui. Non si può dire: “ogni uomo ha il diritto alla vita”, “non è lecito uccidere un innocente”, “non è lecito né l’omicidio né il femminicidio”, “non si devono sterminare gli Ebrei”, “non è lecita la schiavitù”, “l’adulterio è un male” ...No, basta con tutte queste imposizioni, che rendono le nostre comunità non accoglienti.

O meglio: teniamo i Comandamenti come norme morali, ma non come leggi civili. E’ vero, la Chiesa ha sempre insegnato che alcuni di essi devono essere anche norme civili; ma ora deve smetterla con queste pretese. D’ora in poi “non uccidere” sarà solo un orientamento personale: chi non vuole rispettarlo deve essere libero di farlo e lo Stato lo deve aiutare a realizzare le sue scelte. Viva lo Stato accogliente!
A proposito, chi glielo spiega a Nostro Signore che i suoi Comandamenti sono solo un suggerimento privato? Lo fai tu, Moretti? O la fa Lei, Direttore?

don Pietro Robol
don Gabriele Mangiarotti

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