Si può essere cattolici e difendere l’aborto?
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Scrivo in quanto sacerdote e in quanto sammarinese. Ho fatto passare un po’ di tempo dal voto del 26 settembre quando più del 77 per cento della popolazione della Repubblica, che, ricordiamolo, è fondata e porta il nome di un Santo cattolico, Marino, ha votato a favore dell’aborto. Ho atteso qualche giorno prima di prendere in mano la faccenda e scriverle.
Forse non potevamo aspettarci niente di diverso, dato che la cultura che ci circonda è permeata di individualismo e indifferenza, in Italia e anche qui da noi. Nonostante sia sacerdote per la diocesi di San Marino – Montefeltro, non sono coinvolto direttamente come parroco dentro la Repubblica. Però essendo cittadino di questo stato, quello che vi accade dentro mi interessa molto, e lo sottolineo perché non è così ovvio come si potrebbe pensare.
Sono rimasto estremamente colpito: circa il 98 per cento della popolazione si dice cattolico… evidentemente questa stima cozza con il risultato visto poche settimane fa. Personalmente ho cercato di richiamare tutte le persone amiche e conoscenti a prendere visione del testo referendario e votare in quanto cristiani e in quanto amanti della vita. Dagli amboni io, e senz’altro altri sacerdoti, abbiamo richiamato a fare il nostro dovere di cristiani e cattolici. Ho visto le dichiarazioni delle varie associazioni e realtà cattoliche della Repubblica esprimersi a favore della vita. Infine, capendo che le nostre forze erano comunque esigue, ci siamo affidati alla preghiera, e così ordini religiosi e alcuni gruppi indipendenti hanno pregato per evitare il peggio. Il mio caro amico don Gabriele Mangiarotti, insieme ad altri amici laici e religiosi, ha lavorato incessantemente e duramente per difendere la vita e affinché la cittadinanza si rendesse conto della gravità dell’aborto.
Dopo aver elencato tutto questo è partita questa riflessione, forse un po’ scontata: se i numeri delle nostre parrocchie ci dicono di avere ancora una bella fetta di persone in chiesa, come mai è accaduto tutto questo? Non voglio giudicare il lavoro dei miei confratelli, ci mancherebbe, ma una domanda sorge spontanea: coloro che noi vediamo in chiesa, uomini e donne battezzati, cristiani, frequentanti, e quindi potremmo dire cattolici, lo sono effettivamente? Possiamo ancora oggi dare per scontato che coloro che vengono in chiesa, prendono la comunione e vivono i sacramenti abbiano il pensiero edificato a partire dalla fede? Possiamo pensare che il cattolico di nome sia anche cattolico di fatto? Vedendo quello che ci circonda, questa domanda ha una risposta ovvia, ma è chiaro quanto non si agisca di conseguenza. Occorre essere realisti e mettere da parte discorsi futili
L’altra parte della medaglia è data dall’astensione: circa il 60, ripeto 60, per cento della popolazione votante non ha preso parte al referendum! Certo, molti sono cittadini che vivono fuori della repubblica, ma può essere possibile lasciar fluire una questione come questa senza prendere la parola, senza intervenire?
Noi preti siamo sicuramente responsabili di questa situazione. Abbiamo dato per scontato che le persone che vengono in chiesa credono quello che la Chiesa chiede, abbiamo paura, chi più chi meno, di toccare questi argomenti, per non rischiare contrasti, ma siamo o no pastori di Cristo? Oggi nell’ufficio delle letture San Gregorio Magno richiama i pastori a compiere il loro lavoro “perché la lingua non resti inceppata nell’esortare, e il nostro silenzio non condanni presso il giusto giudice noi, che abbiamo assunto l’ufficio di predicatori.” Ma non solo noi, anche gli altri. Occorre ripartire dall’inizio, non dare più nulla per scontato, ma ripartire da zero, come i missionari dei primi tempi, perché anche le nostre terre, così ricche per la fede dei padri, ormai son diventate luoghi di missione.